OBABAKOAK – LE STORIE DI OBABA. INTERVISTA A ENRICO DI PASTENA

OBABAKOAK – LE STORIE DI OBABA. INTERVISTA A ENRICO DI PASTENA

OBABAKOAK – LE STORIE DI OBABA. INTERVISTA A ENRICO DI PASTENA 628 300 Massimo Trocchi
Al notevole successo della 19° edizione del Pisa Book Festival…

 

…svoltosi a Pisa dal 30 settembre al 3 ottobre dell’anno appena trascorso ha contribuito lo svolgimento della 1° edizione del Pisa Book Translation Awards, premio letterario dedicato alla letteratura straniera in traduzione italiana.

Il premio promosso dal Pisa Book Festival in collaborazione con il Dipartimento di filologia, letteratura e linguistica dell’Università di Pisa, ha visto la partecipazione di quasi 50 editori e più di 60 opere in concorso.

Il lavoro della giuria del premio, composta da docenti del Dipartimento di filologia (Roberta Ferrari, Roberta Cella, Alberto Casadei, Enrico Di Pastena) e dalla Direttrice del Pisa Book Festival Lucia della Porta, ha decretato le tre opere finaliste che sono state consegnate in lettura ad una giuria popolare composta da studenti universitari, e docenti e studenti delle scuole pisane Liceo Classico Galilei e Linguistico Carducci, e a una dozzina di affezionati clienti e lettori forti della nostra libreria.

Il lavoro congiunto delle due giurie ha così decretato vincitore, lo scorso 3 ottobre, il romanzo Obabakoak, di Bernardo Atxaga, magistralmente tradotto da Sonia Piloto Di Castri.

Obabakoak (meritoriamente riproposto al pubblico italiano nel 2020 dalle edizioni 21lettere, dopo una prima edizione Einaudi comparsa nel 1991 con il titolo Storie di Obaba) è un suggestivo libro che raccoglie racconti di Bernardo Atxaga, pseudonimo letterario di José Irazu Garmendia.

Atxaga è a ragione ritenuto il maggior scrittore in lingua basca vivente e Obabakoak l’opera basca più nota sul piano internazionale (ricordiamo che il certamente più noto scrittore basco Fernando Aramburu scrive in spagnolo le proprie opere).

Tradotto in oltre trenta lingue, il libro è stato scritto originariamente in lingua euskera e pubblicato nel 1988, e successivamente tradotto nel 1989 in spagnolo dallo stesso Atxaga.

Vincitore in quello stesso anno del prestigioso Premio Nacional de Narrativa attribuito dal Ministerio de Cultura y Deporte, Obabakoak è un’opera che ci ha da subito affascinato per l’intensità onirica della sua narrazione.

Abbiamo dunque chiesto al Professor Enrico Di Pastena, docente di letteratura spagnola presso l’Università di Pisa, e membro della giuria del premio Pisa Book Translation Awards, di aiutarci ad entrare al meglio all’interno del fitto mondo di Obabakoak.

TROCCHI: Ben ritrovato, Professore, e grazie del tempo che ci concede. A Lei è stata affidata la relazione di presentazione dell’opera vincitrice del Pisa Book Translation Awards.

Non possiamo che cominciare questa nostra breve conversazione dal misterioso nome che dà titolo al libro: Obabakoak…

Enrico Di Pastena

DI PASTENA: Obabakoak accoglie al suo interno 25 racconti, che entrano in relazione tra loro grazie al comun denominatore di Obaba, un paese basco di fantasia, nel quale sono ambientati alcuni dei racconti.

Obabakoak, in euskera vuol dire infatti ‘los/las de Obaba’: Quelle di Obaba, ovvero Le storie di Obaba.

 

Il lavoro di Atxaga si colloca idealmente nella scia di autori come Gabriel Aresti e Luis Mitxelena, nel loro comune intento di contribuire alla maturazione letteraria della lingua basca, lingua, lo ricordo, minoritaria e periferica.

L’obiettivo nemmeno troppo velato del testo è fare dell’euskera uno strumento di elaborazione artistica.

È interessante a tal proposito ricordare che nella versione spagnola del romanzo vi è un significativo epilogo di Atxaga che mancava in quella originale in euskera.

L’accento posto da Atxaga nell’epilogo del libro sulla questione letteraria e linguistica è stato da alcuni interpretato come un intento di svuotare di implicazioni nazionalistiche la propria scrittura e di allontanare dal lettore, in primis quello spagnolo, la tentazione di una lettura ideologizzata che avesse a che vedere con rivendicazioni politiche da parte dei Paesi Baschi.

Un orientamento che si pretende squisitamente letterario e che dal versante estetico rivendica una esistenza che difficilmente può prescindere dalla contaminazione con altre culture.

TROCCHI: Vuole darci qualche cenno circa l’architettura dell’opera di Bernardo Atxaga?

DI PASTENA: L’opera è essenzialmente divisa in 3 parti: la prima riporta come epigrafe la parola “Infanzie”. La seconda si intitola “Nove parole in cerca dell’onore del paese di Villamediana” e la terza e ultima parte, “In cerca dell’ultima parola”, include due brevi racconti della tradizione persiana delle Mille e una notte: “Il servo del ricco mercante” e la sua riscrittura da parte di Atxaga: “Dayoub, il servo del ricco mercante”.

Questi due racconti presentano lo stesso incipit ma conoscono scioglimenti diversi e quasi opposti a cui ora non voglio far cenno per non svelare alcun elemento al lettore che si accosterà all’opera.

Le tre sezioni sopraindicate corrisponderebbero, secondo una suddivisione approssimativa eppure proposta da qualche critico, a tre differenti modalità letterarie: realista, fantastica e postmoderna.

Il fil rouge tra le tre parti del libro è assicurato, come detto, dal paese di Obaba, a cui le storie rimandano direttamente o indirettamente.

Lo spazio assume dunque nell’opera una precisa funzione strutturante.

Abbiamo un ciclo di racconti e allo stesso tempo un libro in cui una serie di racconti si intreccia attorno ad una storia e ad un luogo comune.

Nella prima parte del volume ci imbattiamo in storie di figure sradicate: un geografo che vive ad Amburgo, la cui vicenda apre il libro, o una maestra di città che si trova a lavorare nel quartiere più periferico di Obaba.

Si tratta di situazioni che possiamo mettere in relazione con identità che non si riconoscono in un determinato ambito geografico: una possibile mise en abyme del rapporto tra la cultura basca e il suo territorio, compreso nella più estesa organizzazione statuale spagnola.

Nella seconda parte del libro, forse la più luminosa, torna un personaggio-narratore che si trova in uno spazio rurale castigliano in cui è forestiero e nel quale affiora l’interesse verso gli emarginati di quel territorio, i pastori, e verso altre singolari figure periferiche. Un territorio spagnolo ora rievocato attraverso la memoria.

In Obabakoak l’insistenza su figure emarginate contribuisce a sottolineare il carattere problematico di una definizione essenzialista della identità culturale.

Nella terza sezione, entro la cornice di un viaggio verso Obaba, dove i personaggi devono prendere parte ad un incontro nel quale verranno raccontate delle storie, si inscrivono una serie di racconti autonomi che al contempo si ricompongono, come tasselli di un mosaico, in una unica narrazione.

Atxaga ammicca con questa architettura a una tradizione narrativa ben nota, e non solo in occidente, che annovera come antecedenti illustri Le mille e una notte –testo richiamato esplicitamente all’interno dell’opera, come abbiamo detto–, I racconti di Canterbury, il nostro Decameron o, in ambito più strettamente ispanico, El conde Lucanor e Calila e Dimna, gemme del Medioevo peninsulare.

TROCCHI: Questa terza sezione, Professore, è forse da considerarsi come la più complessa delle tre…

DI PASTENA: Si, in questa terza sezione si fa più fitta la rete di riferimenti letterari e l’attenzione per il linguaggio diviene esplicita, sin dal titolo: “In cerca dell’ultima parola”.

È la storia di una ricerca travagliata. E anche qui non dirò se e quanto fruttuosa per non rovinarvi il piacere della lettura…

Una menzione a sé merita “Giovani e verdi”, racconto che apre la terza sezione. Propone l’oggetto di un’altra ricerca, una ricerca nella ricerca. Il narratore è uno scrittore amateur che nell’ingrandimento di una foto d’infanzia vede un ramarro nella mano di un compagno, Ismael, mano che si trova pericolosamente vicino alla testa di un altro bambino che nel crescere diventerà sordo e sciocco.

L’eco di storie popolari su ramarri che possono entrare nella testa delle persone causandone la pazzia acuisce gli interrogativi del narratore sulla sorte dell’amico sordo, Albino María.

La curiosità del narratore verrà contagiata a un medico suo amico e a uno zio di Montevideo, animatore di sessioni di lettura letteraria a Obaba. Mentre si recano a Obaba in auto, narratore e amico medico si alternano nella evocazione di altre storie.

L’incontro nel paesino ritarda ancora il rinvenimento della parola definitiva da parte del narratore –ora novello Joseph Joubert, il saggista francese che visse a cavallo tra Settecento ed Ottocento–, il ritrovamento della parola deputata a concludere degnamente la sua narrazione.

Nell’ultimo capitolo, “La fiaccola”, una sorpresa, che non svelerò, attende il lettore, insieme alla scoperta dell’esito che ha avuto… “la ricerca dell’ultima parola”.

TROCCHI: Grazie, Professore! Vuole darci, in conclusione, un suo giudizio personale?

DI PASTENA: L’opera, dalla notevole consistenza letteraria, è assolutamente godibile.

Rappresenta una concreta proposta e una implicita richiesta di modernizzazione del panorama letterario basco, che vorrebbe presentarsi e proporsi al mondo attraverso la mera dimensione estetica, senza alcuna connotazione di carattere politico-indipendentista.

La traduzione di Sonia Piloto Di Castri, vincitrice del premio Book Translation Awards, rende giustizia all’ambizione dell’opera, poiché è molto precisa e ben condotta.

Copertina edizioni Einaudi, 1991.

È stata leggermente rivista rispetto a quella uscita per Einaudi nel 1991, allora con il titolo originale e l’aggiunta di un sottotitolo esplicativo, Storie, che ora –opportunamente a mio modesto avviso– è stato rimosso.

Quel sottotitolo è quindi scomparso dal frontespizio della edizione del 2020 di 21Lettere, casa editrice a cui va un plauso per aver riproposto il testo.

Piloto Di Castri ha goduto di un privilegio raro per un traduttore: quello di poter tornare su un lavoro già realizzato, per migliorarlo.

 

E si tratta di un testo da lei molto amato, se dobbiamo credere a quel che racconta circa la sua prima lettura dell’originale (nella Nota del traduttore, p. 442): lettura avvincente, cominciata una mattina e finita la notte di quello stesso giorno.

In definitiva, questo è un bel libro, nel quale un paesino si fa emblema dei Paesi Baschi e il processo stesso della narrazione diviene protagonista (anche perché intessuto in modo assai naturale e mai artificioso di spunti di critica e di teoria letteraria).

Ed è un libro ben tradotto, che viene nuovamente offerto al lettore italiano, che, ne sono certo, saprà goderne.

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OBABAKOAK
di Bernardo Atxaga

Massimo Trocchi

Approda a Pisa nel 1994 per gli studi universitari e si laurea in lettere classiche. Apprende per qualche anno il mestiere di libraio a Firenze, e nel 2004 torna a Pisa per rilevare la Libreria Pellegrini...

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