L’avevo letto qualche anno fa in e-book…
con molto coinvolgimento, ma un po’ di corsa e con i limiti della lettura digitale, quelli che conosce bene chi è cresciuto (e pasciuto) con la carta stampata.
Poi mi sono imbattuto in una citazione da controllare, e – una riga tira l’altra – ho deciso di rileggerlo, ma stavolta scavando nella carta con adeguata lentezza.
Un romanzo autobiografico?
In un certo senso sì, l’autore è presente in prima persona, come in quasi tutti i suoi libri.
Ma qui è presentissimo, perché è di sé stesso che parla, in relazione al problema dei problemi, che per lui pervicacemente è la storia “incredibile” della resurrezione dei morti (non è un caso che Carrère sia stato lo sceneggiatore della prima stagione della serie tv Les Révenants, una vicenda incentrata su morti che ritornano a casa, ma non sono zombie, sono appunto risorti; e quindi non è un caso che proprio dalle circostanze legate a questa serie prenda le mosse romanzo-viaggio sul “Risorto” per eccellenza).
Personalmente ho trovato indimenticabile l’aneddoto sul padre un po’ volterriano e un po’ maurrassiano – combinazione piuttosto frequente nella vecchia Francia – disturbato dall’introduzione del volgare nella liturgia, non solo e non tanto per nostalgia del vecchio rito, quanto perché affermare solennemente in latino che un uomo è risorto dai morti ha un peso ben diverso che dirlo, con un certo imbarazzo, in francese….
Tutto il racconto è condotto sulla linea di confine tra conversione e (si può dire?) sconversione.
Dopo cento pagine la situazione è questa:
“Sono diventato quello che avevo così paura di diventare. Uno scettico, un agnostico – nemmeno abbastanza credente da essere ateo…E il peggio, dal punto di vista di colui che ero, è che mi ci trovo piuttosto bene. Capitolo chiuso? Non proprio, se quindici anni dopo… mi è venuta voglia di girare di nuovo intorno a questo momento centrale e misterioso della nostra storia, della mia storia. Di tornare ai testi, cioè al Nuovo Testamento. Il cammino che in passato ho compiuto da credente, lo compirò oggi da romanziere? Da storico? Non lo so ancora, non voglio dare una risposta netta, non penso che l’etichetta conti poi molto. Diciamo da investigatore…Gesù è una figura che, se non illumina, acceca. Non voglio affrontarlo direttamente. A costo di dover risalire in seguito il corso del fiume fino alla sorgente, preferisco iniziare l’inchiesta un po’ a valle…”
Segue – per più di 200 pagine – l’avventura di un viaggio colto e appassionante nei luoghi del cristianesimo nascente con la guida degli Atti degli Apostoli e delle Lettere di San Paolo.
Gerusalemme, Efeso, Roma; l’incontro con il Vangelo di Marco e il mistero degli “appunti” di Pietro, la fonte Q, le folgorazioni parossistiche e paradossali di Saulo-Paolo e il suo rapporto col così diverso Luca e, non poteva mancare, di questi con Maria, conosciuta o solo sfiorata nel suo ambiente di Efeso.
Come è immaginabile non c’è nessuna traccia di racconto devozionale e compunto, ma neppure di riduzionismo arrogante.
Più che altro si avverte dappertutto una specie di coinvolgimento “eterodosso”, un’incredulità molto rispettosa, difficile da spiegare senza esserci entrati a capofitto: per capirci, l’esegesi agnostica di Ernest Renan e succedanei è certamente presente, qualche volta è chiamata a spiegare, o meglio ad aiutare a spiegare, ma direi che non detta mai lo spartito dell’opera.
Il libro si chiude con un epilogo – molto bello- che lascia veramente in sospeso il senso ultimo del “Regno”.
Non voglio “spoilerare”, e privare quanti non l’avessero ancora letto , la sorpresa finale di un bel libro scritto da un vero maestro della scrittura.
Dico solo che comunque siate messi con le credenze e con la religione, nell’arco esistenziale che va dalla miscredenza allo scetticismo all’adesione a tutti i dogmi di Santa Madre Chiesa, secondo me Il Regno sarà una lettura appassionante e di sicuro vi allargherà i polmoni.
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di Emmanuel Carrère
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