“Per farla breve: non si può scrivere di guerra e farlo come si deve senza esporsi a degli imprevisti…
…fare il corrispondente di guerra significa visitare luoghi straziati dal caos, dalla distruzione, dalla morte, dal dolore, e cercare di rendere testimonianza di tutte quelle cose. A interessarmi è l’esperienza delle persone che vivono sulla propria pelle le ricadute più immediate della guerra, le persone che vengono mandate a combattere e quelle che cercano solo di sopravvivere.
Andare sul posto di persona per vedere cosa succede è l’unico modo per giungere alla verità. Con buona pace dei video che vi mostrano in televisione, la realtà sul terreno è cambiata molto poco nel corso degli ultimi cento anni.
Crateri. Abitazioni carbonizzate. Donne che piangono una figlia o un figlio. Sofferenza. Quando si fa il mio mestiere non c’è il rischio di rimanere disoccupati.
La cosa davvero difficile è conservare una briciola di fiducia nel genere umano, scommettere sul fatto che a qualcuno importerà.”
Marie Colvin, Dal Sunday Times del 21 ottobre 2001.
Il coraggio? E’ non avere paura di avere paura.
Il 10 maggio scorso la Paura è tornata ad abitare nei campi profughi di Gaza, terra di conflitto anomalo, sproporzionato, così come nelle strade del sud di Israele, l’area geografica più povera del paese, disseminata di comunità essenzialmente agricole, di piccole cittadine, di agglomerati che vivono sotto la minaccia di razzi e missili da trent’anni.
Forse di più.
Quando ho rivisto per l’ennesima volta le stesse identiche immagini di decine di altre operazioni militari contro la striscia di Gaza, di carri armati, colpi di cannone, soldati di terra, di mare e di cielo, per me gli stessi da trent’anni almeno, il volto di Marie Colvin, inviata di guerra, per chi aveva voglia di starla a sentire, è riapparso, inevitabile, con le linee del viso disegnate dalla vita e sempre testimoni di una bellezza unica e irripetibile.
Con la sua ecco allora riaffiorare decine di piccole facce color ambra, ragazzini mal nutriti e madri con le mani sul viso, sempre più protagonisti del male in corso.
Ripetizioni di un gioco spietato di volti che tornavano a riempire angoli di memoria per lo più amara quanto cinicamente affascinante.
il 10 maggio scorso,
Marie...
…con voce rauca, e triste, delusa e sempre meno certa dell’esistenza di una soluzione allo scontro che non conosce fine.
La paura.
Ne parlammo subito, inevitabilmente, quando fummo presentati l’una all’altro seduti ad un tavolo di Adom in pieno centro a Gerusalemme.
Era il 2006, c’eravamo già incrociati, più o meno un anno prima, nei giorni del ritiro israeliano da Gaza, e ora c’era la guerra su a nord sul confine con il Libano, la piccola guerra d’estate contro Hezbollah, spudorato nel rapire e uccidere gli uomini di un unita’ di Tzahal, l’esercito con la stella di Davide.
La paura, dicevamo.
L’ho scritto e detto ogni volta che mi è stato chiesto; ho paura di essere colpito?
Certo che ho paura ma con lei ci convivo, è un alleata che ti fa fare il passo più giusto, nel bene e nel male.
Un metro in più, una manciata in meno, conta solo quel che accade dopo.
La paura sa consigliare, ma non basta, perché magari non le dai ascolto e lei può anche tradirti.
In guerra è più facile rendersene conto.
Marie ha iniziato a descrivere cosa possa partorire la miseria dell’uomo, poco più che trentenne.
Iran, Iraq, Medio Oriente, geo politica, Arafat e poi gli anni 90 con la Libia, nervosa, il Golfo e la Guerra americana, anche israeliani e palestinesi, la pace vicina e poi lontana, di nuovo, Rabin e Sharon, Netanyahu, la lotta per Gerusalemme.
Serve allungare l’elenco.
Per triste che sia parliamo, parlava, Marie, quasi dell’intero mondo che non trova pace.
Quindi bisogna aggiungere: Kosovo, Cecenia, Timor Est, gli orrori Africani in Etiopia, Zimbawe.
E la Sierra Leone, la legge della jungla che non risparmia nessuno e che nel 2001 la rende cieca, una scheggia di guerra, la benda nera sull’orbita sinistra oramai senza vita.
La sua piazza principale resta comunque il Medio Oriente con le sue innumerevoli messe in scena, l’islamismo violento, Hamas, l’Iraq e la caccia a Saddam, e l’Iran, un mondo contro l’altro, un confronto che inizia a cambiare attorno al nulla se non dolore.
Sfiora il nucleare, i suoi segreti, osserva crescere Al Qaida, la voglia di guerra di un intera regione, la forza dei curdi, quella dei nazionalismi.
A tutto tondo il disegno Colvin prende corpo nella semplice narrazione dovuta da scriba come noi.
Leggi i suoi articoli, scandagli i reportage, paura e rabbia che hanno forma, informazione, sempre; il coraggio a volte non serve a nulla, scriveva Marie Colvin sapendo di mentire.
Da Gheddafi l’immortale inizia il viaggio finale della ragazza di Oyster Bay, stato di New York, 12 gennaio 1956, capricornaccio cocciuto e spesso presuntuoso.
Dalle rivolte di primavera in nord Africa il passo verso la macelleria siriana di Bashar al Assad fu assai breve.
Da lì iniziarono i racconti dei guerriglieri che Bashar chiama topi di fogna, degli stupri sistematici da far impallidire quelli nell’ex Jugoslavia, dei laboratori chimici, degli appoggi stranieri.
Tutto molto simile tra Tripoli e Damasco.
Syria, dove il 2012 sarà ricordato come il tempo in cui le bombe cadevano come pioggia, il tempo di un veterinario unico medico rimasto a curare feriti nel centro di Homs.
Il tempo delle scarne informazioni, degli aggiornamenti quotidiani che dipendevano da pochi, sino a quello che il 20 febbraio 2012 ci comunicò la sua morte.
Le hanno dedicato poesie e pensieri, libri e un film venuto male a mio parere, ma tant’è.
Qui ora ci sono le parole registrate da Marie, dai suoi editori, lette da un pubblico sempre attento; qui c’è un saggio da 700 pagine, veloci, storie di vita professionale non comune ma necessaria quindi inevitabile.
Oltre ad una poesia finale di Alan Jenkins, suo grande amico, dal titolo geniale “Invito a diffidare delle voci che mi spacciano per viva”, quel che troverete in Marie Colvin, In prima linea – tutti gli articoli e i reportage (Bompiani, 2021) , sono semplicemente articoli e inchieste, reportage e informazioni.
Tutto qui. E non è poco.
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di Marie Colvin
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