Pedagogia di Lorenzo Milani: intervista a Edoardo Martinelli

Pedagogia di Lorenzo Milani: intervista a Edoardo Martinelli

Pedagogia di Lorenzo Milani: intervista a Edoardo Martinelli 1024 489 Da voi, a noi, per tutti
Intervista a cura di Federica Cammarata.

 

Edoardo Martinelli è stato allievo di Don Lorenzo Milani

alla scuola di Barbiana dal 1964 al 1967.

Ringraziamo l’Autore, Edoardo Martinelli, per aver curato e fortemente voluto questo libro.

Federica per avercelo segnalato e fatto conoscere anche attraverso questa intervista.

Così, quasi per osmosi, nascono cose belle, come il dialogo che qui proponiamo come invito alla lettura del volume. 

Ndr

Di scuola e di pedagogia scrivono in molti.

 

Fior di libri… da riempire palazzi.

E’ per questo, anche, che trovare un libro, fra i tanti, di una certa originalità e significatività in questo ambito è lavoro di pazienza e costanza.

Il curatore del libro, Edoardo Martinelli

 

Come, ancor prima e di più, è trovare idee pensate e vissute – non banali e non ripetitivamente vuote – e persone che queste idee le partoriscono a colpi di esperienza e di vita. le mani ho questo libro: Pedagogia di Lorenzo Milani. E davanti a me il curatore del libro, Edoardo Martinelli. Libro e curatore sembrano corrispondenti alla mia ardua ricerca.

 

Ringraziandola in anticipo, Edoardo, le rivolgo qualche domanda…

 

CAMMARATA – Nel presentare il libro Pedagogia di Lorenzo Milani utilizza queste parole: “… per contenere quel sentimento di rigetto, che mi sovviene spesso alla memoria e mi agita, quando penso a coloro che mi hanno costretto a vivere nei margini della testimonianza, subendo anche tanta violenza, e mai negli ambiti dell’agire pratico”. Può spiegarci meglio questo suo sentimento?

MARTINELLI: Quello che provo è un risentimento forte che solo a fatica e con il tempo sono riuscito a contenere.

Nonostante il grande sforzo fatto da chi come me ha vissuto in qualche modo gli anni ricchi della Scrittura Collettiva, noi allievi del gruppo storico della “lettera a una professoressa” siamo stati relegati a svolgere un ruolo subalterno e marginale rispetto agli intellettuali di turno, alle istituzioni e ai media.

Sempre ricordati come bambini, ragazzi ed ex-allievi siamo stati immortalati in icone statiche e in discorsi estrapolati per uso e consumo di intellettuali, artisti, pedagogisti e giornalisti che tutto sommato hanno utilizzato Barbiana e il nostro Priore per parlare o esprimere sé stessi.

La storia del popolo di Barbiana viene narrata in un tempo morto e che non muta mai. Un mondo senza acqua, senza luce, senza strada, senza cultura. Perché descrivere sempre il luogo prima dell’arrivo di Lorenzo? Mi sembra ovvio pensare che, se in un luogo destrutturato arriva un buon Maestro, quel luogo debba cambiare.

Infatti, io ho trovato una scuola sul monte Giovi più ricca di risorse di quella dello Stato: laboratori di meccanica e falegnameria, ciclostile, calcolatori e macchine da scrivere, cinepresa, cineproiettore, cannocchiale, studio fotografico e strumenti per apprendere le lingue in lingua madre e tecniche e metodi didattici ancora validi ed applicabili nel nostro tempo.

Barbiana non è il luogo
dell’esclusione!
...e non è un’utopia!

Ve lo posso garantire perché io c’ero e, come dice anche Pasolini, noi allievi del Priore eravamo dei privilegiati.

Con la superficialità di chi sa descrivere solo il mondo del passato, come succede spesso nella scuola che resta imprigionata in un tempo lontano, nei testi in cui si insegna la storia della pedagogia, Lorenzo Milani è liquidato in poche righe.

Non ha né arte né parte. È semplicemente un cavallo di razza. Un razzismo gentiliano sottile che traspare in tutti gli angoli del mondo della scuola di destra o di sinistra, a secondo delle versioni ideologiche di quel nucleo compatto nella difesa del proprio corporativismo e che nella nostra lettera definivamo il Partito Italiano Laureati.

Al Priore di Barbiana si imputa la scuola facile e permissiva. Spero proprio che i vari Cambi e Vassalli, che hanno trasformato lettera a una professoressa in un libro bandiera da impugnare nei cortei (il primo forse non l’ha proprio letto e il secondo, se lo ha fatto, lo ha fatto per un uso e consumo indegno), trovino il tempo per meditare a lungo, leggere e vivere un po’ dentro questa nostra esperienza. Spero con tutto il cuore che trovino il tempo e il coraggio di riscrivere una nuova narrazione.

Con loro c’è stato anche un fuoco amico, frutto di impotenza e debolezza umana, che ha creato convergenza nel descrivere una Barbiana diversa: una pre-scuola o doposcuola parrocchiale. Dove un prete di buona volontà aiutava come poteva i figli dei contadini a conseguire un titolo di studio. Discorsi che hanno alimentato solo conflitti e classismo. Che hanno impedito di far emergere ciò che di importante lettera a una professoressa proponeva in termini di profilo educativo, di metodologie e tecniche didattiche.

Così, Barbiana è diventato il luogo della separazione, del permissivismo e della scuola facile. Nessuno ha letto tra le righe che in realtà Barbiana “è il luogo dove il momento della fruizione dello strumento didattico coincide con il tempo e il luogo dove lo si produce”.

Quindi noi vivevamo un ambiente dove scuola e vita combaciavano. Basta leggere i testi degli insegnanti nel corpo centrale del nostro libro, “Pedagogia di Lorenzo Milani: aderenza tra la parola e il pensiero”, per capire quanto ciò sia vero! E quanto le loro testimonianze dimostrino che scrittori non si nasce, ma si diventa.

Mauro Baglioni, Edoardo Martinelli e Francuccio Gesualdi, Estate 1967, Barbiana.

Eravamo ragazzi diventati talmente autonomi che andavamo all’estero, all’età di 12/16 anni e in modo completamente indipendente, per almeno 3 o 4 mesi ogni anno, in paesi come la Francia, l’Inghilterra, la Germania e addirittura qualcuno nei paesi arabi del Nord Africa.

Queste assurde incomprensioni, che forse mascherano interessi personali di ogni tipo, non potevano essere avvalorate, come è avvenuto purtroppo, da chi pretendeva di dare autenticità e applicabilità al pensiero religioso e pedagogico di don Lorenzo Milani.

Mi riferisco alle istituzioni, in particolare a chi gestiva la Provincia e il Comune di Vicchio fino a qualche anno fa, dove siamo stati letteralmente massacrati. Sono convinto che dietro ci fosse un’intenzione strumentale, che ha teso a porre Lorenzo su di un piedistallo, in un luogo così alto e sublimato da diventare irraggiungibile e di conseguenza impotente.

Lui che si era chinato sull’umanità ferita e sugli oppressi, espressione tanto in uso a Firenze ai nostri tempi, si ritrova ora ad essere frastornato dai rumori della propaganda dettata dalle fazioni che determinano scelte di parte e incoerenti rispetto al suo pensiero. Un uomo isolato! Nonostante volesse, parafrasando Isaia: trasformare le spade in aratri e le caserme in luoghi di riflessione e studio. Rimane un uomo e un sacerdote pieno di buone intenzioni, ma privo di popolo, di allievi e soprattutto allieve.

Un servizio peggiore non potevano farlo! Per fortuna le cose stanno cambiando e spero sinceramente che non si caschi dalla padella alla brace.

Del resto, questa litigiosità è la stessa che in passato ha demolito il movimento unitario e a larghe intese che, nato nella Resistenza al fascismo, aveva dato vita alla prima scrittura collettiva: la nostra Costituzione! Un’espressione la mia che finalmente, dopo cinquanta anni, leggo ripresa da tanti altri, che ovviamente e come sempre, si guardano bene dal nominarci.

Prima e quarta di copertina del libro

CAMMARATA: Sfogliando l’indice del Libro da Lei curato appaiono contributi vari e svariati: oltre ai suoi, troviamo interventi di Dirigenti Scolastiche, Insegnanti, studenti di Scuola Primaria e Secondaria partecipanti ai Laboratori di Scrittura Collettiva. Come definirebbe questo Libro e qual è il filo che tiene legati, con una trama armoniosa e organica, tutti gli apporti che vi troviamo?

MARTINELLI: Il libro, nella sua prima parte, è testimonianza e memoria. È quello che ho sempre raccontato nei 40 anni di impegno formativo, introducendo nei nostri laboratori di scrittura il metodo/non metodo della Scuola di Barbiana.

Devo questa narrazione alle tante esperienze di vita successive agli anni vissuti con Lorenzo Milani.

La prima ed importante è quella avvenuta nell’Area Tessile Pratese. Dove per ben dieci anni ho contribuito, come dirigente sindacale, all’istituzione di tante scuole serali di recupero e alla conquista – siamo stati i primi in tutto il territorio nazionale – del diritto allo studio nelle fabbriche e nei luoghi di lavoro.

Però, nonostante abbia, successivamente e per venti anni, supportato le insegnanti di sostegno nelle scuole e gli operatori sociali del territorio, mai mi è stato consentito di entrare in aula e dimostrare in concreto la validità delle metodologie e tecniche raffinate del nostro Priore. A parte un periodo felice all’Istituto Comprensivo Gandhi, dove si operava in alcune classi in apprendimento cooperativo, o anche alla Scuola dell’Infanzia alla Tignamica nella Val di Bisenzio e all’Istituto don Milani del Villaggio Gescal, solo in pochi contesti ho potuto sperimentare i metodi appresi e la scrittura collettiva.

Mi veniva normalmente risposto che purtroppo niente di ciò poteva essere applicato nella Scuola dello Stato e tutto si limitava alla solita conferenza dove si applaudiva, ma di fatto era solo mistificazione.

Diciamo che finalmente, grazie a dirigenti scolastici illuminati, sono entrato in aula. L’ho potuto fare all’Università della Calabria e di Macerata, alla Scuola don Milani di Lamezia Terme, dove persiste una lunga collaborazione, all’Istituto Omnicomprensivo G. Spataro di Gissi e, in modo sistematico e continuativo negli ultimi tre anni, in alcune classi dell’Istituto Lanfranchi di Sorisole. In questi contesti ho potuto esprimermi completamente gestendo direttamente le attività didattiche in classe fino a costruire insieme alle insegnanti un modello concreto e ricco di risultati. Applicabile a tutti i contesti e ad ogni ordine e grado.

Tutti abbiamo ricevuto un insegnamento reciproco. Proprio perché è stato necessario riadattare un metodo educativo, che per quanto innovativo, era nato in un contesto agricolo e di montagna. In un’epoca in cui dominante era la cultura contadina.

Già nei primi incontri con i gruppi di bambini e ragazzi si scopriva una realtà completamente modificata, sia nel rapporto allievo/insegnante che nei livelli di attenzione ad una lezione sempre più frontale e improponibile. Analisi che confermava i dati sull’analfabetismo di ritorno di Tullio De Mauro e che oggi confrontiamo con i risultati positivi ottenuti quando applichiamo l’apprendimento cooperativo di Barbiana, non alla lettera, ma interpretandolo alla luce e nello spirito del nostro tempo.

Ossia ascoltando non solo chi insegna, ma anche chi apprende o vive sul territorio circostante.

Ed ecco che, nella seconda e terza parte del libro, diventano protagonisti tutti i soggetti sociali. Si possono leggere testi collettivi significativi scritti dalle insegnanti e dai propri allievi. Si individuano territori che interagiscono con la scuola per farsi reciprocamente influenzare per costruire la Comunità Educante.

Alla fine, compare un quadro generale da cui un insegnante può estrarre un suo proprio modo d’essere e di insegnare, dentro un contenitore nuovo e con modalità ribaltate: non più la lezione frontale dalla cattedra inseguendo le pagine del libro di testo, ma partendo dalla cultura informale dei ragazzi si procede liberamente su percorsi di ricerca azione fino a raggiungere gli obiettivi curricolari.

La parola stessa, posizionata sulla linea del tempo, dà voce a storie e narrazioni che trovano nella scrittura collettiva un contenitore efficiente per imparare a scrivere e a costruire modalità e regole di vita condivise.

La cosa più interessante, lo fu anche per me a Barbiana, è l’apprendimento cooperativo: proprio perché dai e ricevi nel gruppo l’identità e lentamente ti conduce ad essere sempre più protagonista e ad avere una forte autostima.

CAMMARATA: “Si può dare un nome alle cose, ma questo non significa conoscerle”: è il pensiero con il quale apre il primo capitolo. Allora, mi e Le chiedo, quando si conoscono davvero le cose?

MARTINELLI: Intanto bisogna capire che un oggetto, come “il muro” nell’aneddoto che apre il primo capitolo, quando lo percepiamo e nominiamo, assume un ruolo attivo nel nostro linguaggio soltanto quando siamo capaci di rappresentarlo nella nostra mente.

Solo allora evitiamo di cristallizzarlo in un semplice vocabolo per un uso meccanico. Proprio perché, quando lo riconosciamo, lo evochiamo in tutte le sue qualità e le sue funzioni. In questa forma sinergica la mente proietta al di là del presente e del passato. Ci fa intravvedere sprazzi di futuro. La parola rimane viva e racconta ancora storie.

È questo il livello di consapevolezza alto che ci offre la buona scuola di Barbiana. E ciò avviene se ci fa incuriosire, desiderare e provare il piacere.

Assaporare la bellezza e vivere intonati con ogni evenienza è istintivo nel bambino, perché è un modo eccellente di provare il giusto piacere. Ma lo conserviamo come indole se viene rinforzato nella vita reale costruendo le pari dignità tra le abilità sociali e le discipline.

Il dialogo sta alla base di questo apprendimento che si situa nel concreto e che non può accettare di essere predicato semplicemente dalla cattedra.

Solo la riflessione consente di affermarlo dentro di noi come un risultato. L’ingozzamento cognitivo di oggi, lo testimoniano le insegnanti e le dirigenti scolastiche nei loro testi, basato sulla quantità a scapito della qualità, impedisce uno sguardo d’insieme: spesso indichiamo la luna, ma guardiamo solo il nostro dito!

CAMMARATA: Nel suo scritto ricorda come l’ideale sociale di Lorenzo Milani poggiava sul dominio della lingua. Secondo Lei questo pensiero è valido ancora oggi nel cambiamento d’epoca che stiamo vivendo della post-verità, per cui le argomentazioni, caratterizzate da un forte appello all’emotività, si basano su credenze diffuse e non su fatti verificati, influenzando l’opinione pubblica?

 MARTINELLI: Partiamo da lontano, dalla mia testimonianza, che è ben espressa nei primi capitoli del libro.

Quando leggevamo il giornale ogni pomeriggio, la lettura e riflessione, che facevamo insieme, smascherava i giochi che l’alta finanza, espressione in uso allora, faceva per mantenere al potere chi deteneva il capitale. Questi intrighi, non diversi da quelli di oggi, rimanevano invisibili alla gente comune, al popolo di Barbiana composto di contadini e montanari, per mancanza di strumenti culturali.

Una di queste operazioni perfide consisteva nel sostenere economicamente i Media, renderli dipendenti da chi eroga i soldi e confondeva le acque.

Ovvio che, in questa condizione di alienazione totale, la scuola, quella che educa e non solo istruisce, fosse indispensabile. Non solo per comprendere gli eventi, ma per consentire a una cultura muta di esprimere diritti e pensiero. Dare la parola introduce anche l’idea di ascolto e di dialogo. Trasferendo in aula la cultura contadina, come modello e approccio, si può comprendere quanta energia si potesse trarre da tale insegnamento.

Ma questa politica vergognosa del potere per il potere, fatta alla luce di un sole che non illuminava più, ma accecava chi si era ormai fatto prendere da un consumismo sfrenato, impediva di leggere quelle verità visibili solo tra le righe. Un veleno che lentamente corrompeva gli uomini e minava alla base le istituzioni democratiche già alla nascita della Repubblica.

Erano necessari strumenti culturali che accompagnassero le azioni politiche di chi voleva emancipare il paese.

Il dualismo politico di contrapposizione, e che ancora permane con sempre più arroganza, aiutava solo a confondere le idee.

Da una parte si alzava la bandiera della libertà e dall’altra quella della giustizia, come se questi due valori fossero in contrapposizione.

Nella realtà questa politica subdola portava una grossa fetta di popolazione povera ad allearsi e votare gli uomini dei ceti ricchi e privilegiati. Non era facile smascherare tale progetto, che si basava soltanto nella logica di contrapporre due valori per neutralizzarli entrambi. La comprensione da parte della gente sarebbe stata possibile solo se l’azione politica fosse sostenuta da una crescita culturale. E questo, il nostro Priore, che proveniva dall’alta borghesia, l’aveva capito benissimo e fondando la scuola in vetta al monte Giovi lo ha anche dimostrato.

I tempi sono cambiati, da quando i giornali definivano don Milani e La Pira: comunistelli da sacrestia oppure pesci rossi nell’acquasantiera, ma le logiche persistono anche nell’Epoca della Tecnica o delle post-verità, come tu affermi.

Che la verità sia secondaria rispetto alle notizie lo dimostrerebbe l’intera Storia delle civiltà e in particolare quella della prima metà del secolo scorso.

Infatti, uno degli scopi principali della Scuola di Barbiana fu quello di demistificare la Storia. Leggerla dal punto di vista del contadino di montagna è stata una delle esperienze più belle della mia vita! La lettera ai giudici, la prima delle nostre grandi opere collettive, se letta tra le righe farebbe capire quanto tale processo di scrittura porterebbe l’allievo a prendere coscienza della condizione subalterna che stanno vivendo i giovani rispetto ai diritti e allo Stato Sociale.

CAMMARATA – Quando nel Libro parla del contesto di realtà di Barbiana dice: “la prima lezione non partì dai classici, dall’alfabeto o dalle tabelline, ma da un bisogno primario. Quello di muoversi dalla campagna verso il paese e la città, per trovare lavoro, per svago o per vendere i pochi prodotti che consentivano a loro volta di acquistare ciò che mancava… Scoperto il grimaldello utile, il motivo occasionale, nacque sul monte Giove la Scuola di Avviamento Professionale”. È stato in diverse scuole d’Italia, ha avuto a che fare con studenti di varie età e di realtà sociali diverse: quale può essere oggi il bisogno primario che può fungere da grimaldello per fa nascere una nuova Scuola?

MARTINELLI Il primo presupposto è quello di conoscere l’allievo e non di imparare il suo nome per interrogarlo o richiamarlo solo all’ordine. Capire cosa bolle in pentola ci fa dedurre i motivi per cui abbiamo due occhi, due orecchi e una sola bocca.

La nostra stessa filogenesi suggerirebbe tante cose e sono le stesse che proviamo quando prendiamo in collo un neonato. Le emotività e i presupposti sono già lì a livello istintuale sulla linea di partenza. La logica, il buon senso, lo sviluppiamo mantenendo questo equilibrio iniziale che dobbiamo sentire più che imparare. Perché come dici tu nella tua tesi di laurea su don Lorenzo Milani l’aspetto vocazionale è centrale. Capire le fasi dell’età evolutiva ci portano ad apparecchiare la tavola non solo per riempirci la testa di nozioni, ma per imparare a stare insieme e socializzare. Tutto, anche gli apprendimenti cognitivi.

Dare per scontato che è la vita stessa a complicare le cose che apprendiamo fin da bambini, ci apre gli occhi sulla realtà e non solo sui libri. Mediare la lettura con il concreto quotidiano conduce a strutturare schemi logici e strategie capaci di far emergere l’indole di ognuno. Ed ecco che il gruppo classe è pronto a lavorare in squadra in un rapporto circolare dove ci vediamo in faccia e non è necessario girare la testa per dialogare.

Quello che il Priore definiva il motivo occasionale e che noi oggi, con l’esperienza di poi, definiamo più spesso l’atteso imprevisto, non è ovviamente prevedibile. Esso rappresenta la motivazione, a volte è perfino un disvalore e non va ideologizzato. Mette a fuoco la cultura informale del ragazzo ed il mondo che vive, non solo quello esteriore, ma anche quello interiorizzato. È il punto di partenza da cui l’educatore regista veicola la didattica verso gli obiettivi curricolari.

La prima scuola a Barbiana fu una scuola di avviamento professionale, che già al suo interno aveva un corpo disciplinare linguistico fortissimo, ma che aderiva alle necessità, di quell’allievo, di quell’ambiente e di quel territorio. Quando la comunità prese coscienza dell’importanza del diritto allo studio, l’obiettivo diventò la Scuola Media Unificata e all’officina e alla falegnameria si aggiunsero altri laboratori.

Ai miei tempi Barbiana era già una scuola superiore, dove si formavano insegnanti e operatori sociali. La bocciatura di Luciano Carotti ed Enrico Zagli, coautori come me della famosa lettera in cui si esprimono in prima persona, reagiscono a una figura di educatore e a un modello di scuola che valuta la maturità dell’allievo basandosi solo su apprendimenti nozionistici.

È il loro risentimento a diventare l’occasione per produrre percorsi di ricerca/azione capaci di mettere in luce non solo il disagio, ma anche di trovare le soluzioni per costruire nuovi profili e nuovi metodi. Un processo interrotto dalla morte prematura del Priore e che gli insegnanti della nostra rete di scuole hanno ripreso, proprio partendo dalle nuove identità e dai terribili risultati sull’analfabetismo.

CAMMARATA: In alcune pagine, come una continuazione postdatata di Lettera ad una professoressa, muove critiche acute alla Scuola di oggi: “Dimenticando la sua vera appartenenza, la scuola si è completamente isolata. Barricata ed estraniata dalla gente e dai luoghi in cui opera si è rinchiusa in un ambiente asettico e artificiale”. E ancora: “Scimmiottano Lorenzo Milani inventando i compiti di realtà, che nella loro ingenua semplicità approdano a poco o a nulla” e “La semplice sentenza senza appello costringe all’ascolto passivo o all’uso di un registro scolastico, dove la prova è idonea solo quando è funzionale al sistema e non al valore attribuibile all’argomento o al merito soggettivo della persona”. È da questa serie di constatazioni che nasce la rete di Scuole Barbiana 2040?

MARTINELLI: Sì.  Il compito di realtà ha avuto per me un momento significativo ad Ischia, alla scuola di Barano. Si presentarono tutti i presupposti necessari ad esprimere in un’applicazione in aula il metodo di Barbiana. Essendo un laboratorio che, per quanto diluito in qualche giorno di attività, non poteva per mancanza di tempo dipanarsi e svolgere tutti i presupposti di un metodo molto più complesso di quello che si determina dando un tema, si ridusse il tutto in alcune ore di attività di sola scrittura.

Il compito nato, essendo partito da un rapporto dialogico e di ascolto, dal contesto di realtà e dai bisogni veri dell’allievo ebbe comunque un buon risultato. Purtroppo, non posso proseguire la narrazione perché sull’isola non mi hanno più invitato.

Ho incontrato spezzoni di tale idea in qua e in là in tante scuole che ho frequentato. Subito mi sono reso conto che una buona idea se applicata male si autodistrugge. Lo spiego con due esempi. Se in un contesto cala l’emotività e le relazioni sono disturbate ha un senso chiamare un esperto capace di operare dentro le dinamiche di gruppo e produrre una riflessione sul tema. Ma se l’emotività diventa solo un tema per un uso e consumo momentaneo è logico che rinforzi la patologia piuttosto che curarla. Il secondo caso lo spiego con ciò che avviene di fatto in aula quando la buona pratica diventa solo sperimentale e separata dal contesto. Rinchiusa dentro un laboratorio perde l’idea di continuità che l’aveva fatta nascere.

Integrare significa agire insieme con un fine comune e sempre. La realtà è presente in noi e fuori di noi sempre. Non si può prendere a pizzicotti come fanno gli esperti quando vogliono solo dare un senso quantitativo al loro intervento.

Il progetto Barbiana 2040, aperto a tutte le scuole e a tutti gli insegnanti, è un tentativo di attualizzare la didattica di don Milani, costruendo una pedagogia in situazione, e “mettere radicalmente in discussione la pedagogia del profitto e la società del turbocapitalismo che hanno ridotto la scuola a un’azienda funzionale esclusivamente alla riproduzione dei codici linguistici e comportamentali dell’ideologia neoliberista, che istituzionalizza paradigmi teorici e modelli educativi che hanno nell’idea di competizione selvaggia (tra studenti, famiglie, istituzioni) il proprio carburante ideologico”, come ben dice il professore Giancarlo Contestabile dell’Università della Calabria, con la quale il Progetto ha preso forma e viene sviluppato.

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