Discutendo del libro di Savino Balzano “Contro lo smart working”, Laterza 2021
A distanza di un anno e mezzo dall’inizio della pandemia è innegabile che il ricorso allo smart working abbia rappresentato uno strumento utile a contenere i contagi ma al contempo, su questa modalità di lavoro, si è scatenato un dibattito fuorviante da social con innumerevoli luoghi comuni alimentati da ideologismi di varia natura.
Merito di Savino Balzano è avere raccolto, nel suo lavoro sindacale, testimonianze dirette elaborando una analisi disincantata del lavoro agile e capace di evidenziare i pericoli derivanti dalla assenza dei lavoratori e delle lavoratrici dai luoghi della produzione, e stigmatizzando la tendenza a costruire rapporti individuali tra datore e dipendente.
Un lavoratore “agile” tende a isolarsi dal contesto sociale e sindacale, la democrazia non può essere mai virtuale ma sostanziale.
Se il rapporto tra datore e lavoratore è un rapporto di forza, il dipendente in smart è in condizione di estrema debolezza, isolato, ricattabile e in prospettiva ideologicamente subalterno alla cultura del progetto, avulso dalle dinamiche partecipative e sindacali.
La curiosità sindacale e intellettuale di Balzano è rivolta alla modalità agile nel periodo di lockdown quando milioni di lavoratori e lavoratrici hanno cominciato ad operare da casa con provvedimenti di urgenza per scongiurare ulteriori contagi nei luoghi produttivi.
Nonostante la modalità di lavoro agile esistesse da tempo i contratti nazionali del pubblico impiego non avevano ancora recepito e normato questa novità, a conferma che solo leggendo i processi di trasformazione è possibile affrontarli e non subirne le decisioni.
Il libro di Balzano ha due, e non solo, meriti: da una parte mette in discussione l’ubriacatura ideologica generatasi in breve tempo circa lo smart working, dall’altra ne evidenzia la natura regressiva quanto a diritti e tutele individuali e collettive, e lo fa nella consapevolezza che i lavoratori individualizzati e non all’interno di una comunità in presenza rappresentano facile preda per i datori e i vertici aziendali, per imporre carichi di lavoro crescenti e un pensiero unico supino ai voleri datoriali.
la lettura augurandoci che dia
seguito a discussioni collettive
sulle cosiddette "nuove" modalità del lavoro..
.. giusto per non cadere ostaggi delle ideologie dominanti che per decenni hanno propinato logiche e teorie dimostratesi fallimentari e tali da restringere gli spazi di libertà, democrazia e partecipazione.
Un disegno strategico comprensibile se intrecciamo la lettura del testo alle analisi sul capitalismo della sorveglianza o alla critica al cosiddetta “logica del merito”, tutti strumenti indispensabili in una ipotetica cassetta degli attrezzi sindacali.
Il lavoro agile è regolato da una legge del 2017 per lo piu’ disattesa: prima dello smart esisteva il cosiddetto telelavoro ma risultava poco conveniente alle imprese, anzi troppo rigido secondo i dettami imperanti nel mondo neoliberista della flessibilità.
Il telelavoro veniva concesso in casi meramente eccezionali, in presenza di patologie gravi del lavoratore, o lavoratrice, impossibilitato a lavorare in presenza.
Il telelavoro rappresentava comunque un vantaggio per il datore che poteva sempre contare su una unità lavorativa alla quale difficilmente avrebbe potuto garantire un lavoro in presenza nel pieno rispetto delle normative di salute e sicurezza.
Dal punto di vista del datore di lavoro la pecche, se così vogliamo definirle, del telelavoro erano rappresentate dai costi a carico dell’azienda: dai buoni pasto fino a un forfettario rimborso delle spese energetiche sostenute, e l’impegno a fornire strumenti lavorativi aziendali e una postazione ergonomica.
Nel 2017, con la legge sullo smart, spariscono i rimborsi forfettari e molti degli obblighi aziendali.
Si fa strada la ideologia del lavoro non in presenza, ma anche in questo caso il lavoro agile si scontrava con la palese incapacità degli Enti pubblici e privati a ripensare le modalità di esecuzione del lavoro in termini innovativi.
L’arretratezza del nostro paese quanto a tecnologia, innovazione e formazione è il risultato di 40 anni di contro-politiche del lavoro, dallo smantellamento delle tutele collettive ed individuali alla scomparsa dei percorsi di formazione e aggiornamento ma soprattutto dall’idea che solo riducendo il costo del lavoro l’economia avrebbe potuto riprendere slancio.
E nell’ottica di contenere i costi del lavoro, un paese tecnologicamente arretrato, non poteva cogliere le novità dello smart working perché enti pubblici e aziende private per lo piu’ non avevano gli strumenti e l’organizzazione produttiva adatta a valorizzare questa tipologia di lavoro.
Non si tratta di esaltare lo smart ma di prendere atto dei processi in atto nel capitalismo globale: il lavoro agile non è un lavoro liberato anzi diventa sovente piu’ controllato di quello in presenza se pensiamo agli strumenti tecnologici del capitalismo della sorveglianza.
Un lavoratore agile di solito dovrebbe essere valutato secondo la modalità a progetto, azzerare i tempi dedicati al confronto e alla discussione con i gruppi di lavoro, quei tempi che invece irrompono nelle ore libere e non retribuite aumentando cosi’ il tempo di lavoro non retribuito.
Balzano non parla delle liste whatsapp ormai divenute uno strumento di controllo e di partecipazione attiva dei dipendenti al di fuori dell’orario retribuito: ci permettiamo di annotare questa mancanza alla luce della esperienza diretta di tanti lavoratori e lavoratrici che vedono annullati la distinzione tra tempi di vita e di lavoro anche attraverso questi strumenti informali e avulsi dai contratti.
Chi opera in smart ha diritto solo in teoria alla disconnessione: solo nei giorni scorsi il diritto alla disconnessione è stato sancito ma permangono disuguaglianze retributive determinate dalla mancata erogazione dei buoni pasto e dalla mancata applicazione di alcuni istituti contrattuali.
Chi opera in smart sovente viene contattato dal datore di lavoro anche al di fuori dell’orario canonico e contrattuale.
Il fatto che operi da casa (con strumenti propri e senza un euro di rimborso per le spese sostenute, se il pc ha un problema si ripara con soldi propri) determina la sua facile reperibilità per prestazioni aggiuntive senza quasi mai corrispondere un ‘ora di straordinario.
Lo smart rappresenta dunque una insidia al diritto del lavoro: può anche essere regolato ma sovente l’uso che ne viene fatto risponde a logiche invisibili che invece Savino Balzano analizza e denuncia.
Non si tratta di stabilire diritti individuali del singolo; chi opera in smart, lo scrivevamo prima, è avulso dai consessi collettivi, non diventa parte attiva di un processo democratico, sino a divenire cosi’ facilmente ricattabile e sfruttabile.
una cultura e una pratica
prettamente individualista...
… pensando di potere contrattare da solo ciò che invece è frutto della contrattazione collettiva o di leggi emanate senza alcun confronto con la parte sindacale.
Mentre prendevano il sopravvento la flessibilità incontrollata e l’assenza di tutele collettive ed individuali, con la soppressione dell’art 18 dello Statuto dei lavoratori si faceva strada l’idea del lavoro liberato dalla presenza.
L’impianto normativo a tutela dei lavoratori veniva così progressivamente smantellato, e i tempi morti della produzione giudicati ostacolo alla produttività.
Il rapporto di lavoro è un rapporto di forza nel quale il lavoratore singolo esce con le ossa rotte senza dimensione collettiva e il lavoratore agile è per antonomasia la realizzazione di un rapporto meramente individuale tra datore e dipendente.
In tempi pandemici si è adottata una procedura di urgenza per la quale non serviva l’accordo individuale per lo smart working.
Aziende pubbliche e private non volevano investire in salute e sicurezza e hanno ritenuto preferibile ricorrere alla modalità agile quale strumento privilegiato per la difesa dai contagi.
E quando i contagi sono arrivati le responsabilità sono state scaricate sulla forza lavoro che non avrebbe rispettato i protocolli di sicurezza o le norme di distanziamento sociale (come sia possibile il distanziamento in certi luoghi della produzione dovremmo chiederlo ai soloni dell’Inail o del Ministero).
Nel corso del tempo molti Enti pubblici si sono dimostrati del tutto incapaci di riorganizzare uffici e servizi con lavoratori non in presenza: per questo oggi la percentuale dei lavoratori in smart è sempre piu’ bassa e non esiste alcun monitoraggio a livello di Ente per valutare, con il sindacato, pregi e difetti di questa organizzazione del lavoro.
Morale: si va avanti con atti unilaterali aziendali, circolari e senza mai una contrattazione effettiva con le Rappresentanze sindacali unitarie.
Federico Giusti
Delegato RSU, Sindacato di base CUB Pisa
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