Maria, Maria Abbondanza, giovane forlivese da qualche anno trasferitasi a Pisa con la famiglia, era presente la sera dell’incontro
“Non vi guardo perchè rischio di fidarmi”, svoltosi a Pisa nell’ambito della IV edizione del Piccolo Festival della Fiducia.
Ha preso appunti, Maria, per fissare meglio. Per non dimenticare. Per farsi scuotere, e far risuonare, le parole che hanno tenuto
in silenzio le 150 persone presenti. Questi appunti, oggi, sono diventati un articolo.
Un regalo di Maria, che volentieri condividiamo con tutti.
Il percorso di un viaggio…
dentro una realtà che ci circonda, vista dagli occhi dei ragazzi e raccontata dalle parole di un educatore. Don Claudio Burgio nasce a Milano il 29 Maggio, 1969.
Nel ’96, dopo studi classici, filosofici e teologici, viene ordinato Sacerdote dal Cardinale Carlo Maria Martini. È fondatore e presidente dell’associazione Kayrόs
(dal 2000) diventa anche collaboratore di Gino Rigoldi come cappellano dell’Istituto penale minorile “Cesare Beccaria” a Milano.
Il nostro viaggio parte con l’ascolto di una canzone di Zaccaria, in arte Baby Gang: “3 Occhi” (ft. Il Ghost)
Si parte subito con una riflessione circa il fatto che, nelle stesse strade che percorriamo oggi per andare a lavorare o a scuola, ci furono numerose manifestazioni che, ad oggi
(come capitò qualche tempo fa proprio nella realtà di Pisa) vennero soppresse con la forza. Persino il presidente Mattarella si espresse a riguardo dicendo che l’uso dei
manganelli sui ragazzi fosse un fallimento. E da qui, parte un dialogo su quello che sono le pene “rieducative” oggi.
Per questo percorso, ci siamo affidati e lasciati guidare da Don Claudio, autore del saggio “Non vi guardo perché rischio di fidarmi”.
Un testo che permette di aiutarci a capire chi siano i giovani di oggi, le fatiche che
affrontano e i diversi modi (non per forza convenzionali) che essi trovano per far ascoltare la propria voce. Alla prima, interessante, domanda posta all’Autore
“da quale fiducia è nata la tua capacità di dare fiducia?” il Don racconta che in primis lui ha ricevuto fiducia dal Cardinale Martini, fiducia che lui non sentiva di meritare
ma quello sguardo, quegli occhi, gli hanno fatto scoprire una vocazione dentro la vocazione. Per lui è stato fondamentale mantenere quello sguardo che ti permette, ci permette a
nostra volta di dare fiducia “Perché se dai fiducia, alla lunga ti porta qualcosa.”. Don Claudio, ha raccontato della sua realtà a Milano all’Istituto penale minorile “Cesare
Beccaria” dove ha incontrato Zaccaria. Zaccaria altri non era che un ragazzo di strada, cresciuto come tantissimi (più di quanti si possa credere) in una povertà assoluta,
che però ha avuto il coraggio di chiedere aiuto.
Bella la parola “aiuto”, grande, potente, ma per la stragrande maggioranza dei giovani sinonimo di vergogna, o perlomeno irrilevante.
A Don Claudio, Zaccaria, chiede innanzitutto di guardarlo. Glielo chiede parlandogli del suo sogno, della sua più grande passione: la musica.
Glielo chiede facendosi conoscere e riconoscere.
Con questo giovane ragazzo, Don Claudio si rende sempre più conto di quanto l’educazione sia un atto incondizionato di fiducia.
“È meglio partire con un sogno, che vedere i ragazzi rassegnati.”. E anche ai sogni, a volte, va data fiducia.
Per il Don, ascoltare i ragazzi non è solo sentirli parlare, ma è anche ascoltare le loro canzoni, ascoltare ciò che descrivono queste canzoni, canzoni che partono da una realtà
di fronte alla quale non possiamo girare gli occhi. Invita tutte le persone (genitori, educatori, nonni, zii,…) a porsi davanti alle canzoni dei giovani con un “ascolto disarmato”.
“Ascoltare in maniera disarmata significa porsi in una posizione di sospensione del giudizio per immergersi nel racconto (…) e allora mettendomi in ascolto loro
ho imparato a scoprire la realtà. (…) Attraverso queste canzoni, i ragazzi, mi hanno portato nelle loro case e mi sono immerso in una storia mai immaginata prima.
Questo strumento musicale invece di essere censurato, puo’ essere un’occasione. (…) Ascoltare le loro canzoni è una possibilità di emozioni e racconti
da cui ne scaturisce anche il tuo sapere e conoscenza.
anche quando ascoltare
è inascoltabile
Un aspetto su cui si è soffermato Don Claudio è che i ragazzi di oggi siano pressochè analfabeti dal punto di vista emotivo e spesso non si lascino aiutare tranne quando ormai sia troppo tardi.
La parola aiuto, il verbo aiutare, sono stati spesso “affiancati” alla parola fiducia.
E così, se si parla di ragazzi, non si puo’ non parlare degli adulti che gli stanno dietro, adulti spesso assenti, o adulti troppo presenti che guardano esclusivamente
alla performance del figlio: se il figlio non porta a casa i risultati attesi dalla famiglia allora vale poco.
Adulti che fanno valere il figlio quanto la valutazione stessa, adulti che opprimono il figlio, famiglie dove non esiste margine d’errore.
Poi, dall’altra parte, adulti che non ci sono, o che il figlio non lo vedono neanche. Al Beccaria arrivano ragazzi con situazioni di grande marginalità, un quarto di questi con
genitori troppo presenti. Difficile far capire a tutti questi ragazzi che non sono dei falliti perché son finiti lì dentro, o che non si devono identificare con il reato commesso
“Eh in fondo io sono solo uno spacciatore, è inutile che ti sbatti per me“
“Eh in fondo io sono solo un tossico, è inutile che ti sbatti per me”
“Eh in fondo io sono solo un criminale, è inutile che ti sbatti per me”
Don Claudio si è concentrato sul fatto che questi ragazzi, prima di qualsiasi altra cosa, siano ragazzi e non quello che hanno fatto.
C’è stato un focus anche sui ragazzi di buona famiglia, che sono quelli che più tendono ad autodistruggersi perché vivono anni solo a dimostrare di essere all’altezza dei propri
genitori, gli stessi che insegnano al figlio che si devono ottenere sempre e solo ottimi risultati e che, se per una volta stai per inciampare, o inciampi, allora significa che te lo sei
meritato. Il fallimento, invece, fa parte della vita.
Spesso i ragazzi soffrono di una fragilità dettata dalla comunità. Obbediscono alle attese dei genitori, ma non interiorizzano nulla, allora ecco che quando arrivano al Beccaria
sprofondano in un dolore atroce al fronteggiar del vuoto.
I ragazzi spesso crescono con l’idea che se falliscono non sono normali, sono sbagliati: è da questo che deriva il pensiero/sentimento che li fa sprofondare.
Il percorso messo in atto dalla comunità Kairòs è quello di far comprendere loro che l’educazione non puo’ prescindere dalla libertà.
Non è pensabile che uno possa crescere senza una condizione di libertà.
“La parola d’ordine su cui si dovrebbe investire è rieducazione e non carcerazione (…) alla parola perdono, tendiamo a dare un’accezione prettamente religiosa,
ma non dovrebbe essere solo questo. È una parola che andrebbe scoperta giorno per giorno nel cammino con i ragazzi.”.
Don Claudio conclude riprendendo l’aspetto dei testi musicali dicendo che vanno presi come narrazioni di storie utili a decifrare il mondo dei ragazzi.
“Non so dire ti amo, non me l’hanno insegnato. L’ho imparato da solo, ma non ha funzionato” Canta Baby Gang in una delle sue canzoni…
È difficile per i ragazzi rintracciare adulti credibili, nel rapporto ci deve essere lo scontro,
ma anche lo sguardo di fiducia, lo sguardo che ti permette di rimanere affidabile anche dopo lo scontro, lo sguardo che va oltre.
Lavorare sui testi e conoscere i testi di quelle canzoni significa così metterglieli davanti chiedendo cosa li convince, cosa torna e cosa non torna nella loro vita: significa metterli
davanti alla loro realtà, e fargliela amare.
Don Claudio conclude dicendo “Oggi ci affacciamo su nuovi modi di esistere, ancora difficili da inquadrare ecco perché non abbiamo formule pronte, non abbiamo un bagaglio
e valutiamo l’esperienza. Il rischio è che l’esperienza sia calcolata fuori dalle tecnologie: io dai ragazzi mi faccio insegnare la tecnica e a loro restituisco il dono del senso della
tecnica. È anche questo il bello della comunità: quando i linguaggi si intrecciano.”
E’ bello stare di fronte a un uomo che non propone risposte per tutto, ma si offre come compagno di strada nella grande avventura della scoperta di sé e del proprio vivere.
È bello trovarsi di fronte a qualcuno che nonostante tutto quello che una persona possa aver fatto nella vita in quel momento ti dice:
“Tu esisti. Tu vali. Tu sei di più di quel che hai fatto e che non hai fatto. Tu ci sei. Tu vivi. Qui. Ora. E ora io voglio sapere chi sei con me e voglio che tu sappia chi io sono con te.”.
Uno sguardo che sospende il giudizio e apre le porte all’essere presente per sé stesso nella vita che si è chiamati a vivere.
Uno sguardo, quello di Don Claudio, che si puo’ trovare tra i ghetti della povertà come nei salotti dell’alta borghesia.
Uno sguardo che si riconosce subito perché è disarmante per l’anima, ne tocca le corde più intime costruendo un’emozione e da lì non se ne va.
Si puo’ rifiutare, si puo’ rinnegare, si puo’ provare a debellarlo, ma lui resta lì e ti si pone di fronte anche se ci si gira dall’altra parte.
Quello sguardo, diventa il terzo occhio con cui esperire il “mondo fuori” e il mondo dentro sé stessi.
Quello sguardo ce lo si porta dentro come un tatuaggio all’anima e lì resta, vigile, attento, pronto a rivoluzionarti la vita.
Uno sguardo che si puo’ trovare negli occhi di una madre, le braccia di un padre, nell’errare di un paria o in un semplice sacerdote che non si arrendono a quello che è stato,
ma affrontano quello che è. Aveva ragione Vasco Rossi:
e ci ho visto dentro tanto amore,
che ho capito perché
non si comanda al cuore
—
Acquista qui Non vi guardo perchè rischio di fidarmi:
NON VI GUARDO PERCHE’ RISCHIO DI FIDARMI
di Claudio Burgio

Lascia una risposta