Il pensiero di Antonio Gramsci in Italia è da tempo in crisi…
consegnato ad ambiti accademici e scientifici ma ormai estraneo alle comunità culturali e politiche militanti.
Questa estraneità, causa forza maggiore, si comprende anche guardando alla residualità delle organizzazioni politiche comuniste esistenti, nell’assenza di una rete culturale capace di unire le varie anime della sinistra radicale attorno a percorsi di studio e interpretazione del mondo, premesse indispensabili per provare a cambiarlo.
Esiste una prestigiosa Fondazione intitolata ad Antonio Gramsci, una casa Museo e perfino l’edizione nazionale dei suoi scritti ma sono lontani i tempi nei quali le comunità politiche dibattevano collettivamente sui Quaderni dal carcere ritenuti fondamentali per la formazione di intere generazioni.
La crisi del pensiero gramsciano è legata non tanto alla sconfitta delle sinistre e dei comunisti ma alla mancanza di una idea alternativa di società: basterebbe vedere la incapacità di costruire nel paese una campagna per accrescere le aliquote fiscali soprattutto per le fasce di reddito sopra 70 mila euro.
Perfino sul versante redistributivo la sinistra è incapace di sostenere idee di cambiamento improntate a principi non anticapitalisti ma di semplice lotta alle disuguaglianze con un sistema fiscale che tassi i grandi redditi.
La crisi del sistema economico e politico liberale era da ritenersi come irreversibile fin dalla Prima Guerra Mondiale ma allo stesso tempo non esistevano le condizioni per l’avvento del socialismo: non c’è nulla di profetico nell’analisi gramsciana ma solo lo studio della realtà italiana dopo l’avvento del fascismo e la sconfitta del movimento operaio.
Questa lunga premessa è finalizzata a ribadire due semplici concetti: senza un approfondito studio della società non sarà mai possibile coglierne le sue profonde e complesse trasformazioni.
E mentre nel nostro paese abbiamo assistito al progressivo accantonamento del pensiero di Gramsci, rinchiuso in una sorta di limbo accademico e conseguente e sostanziale dimenticatoio politico, nel continente americano l’intellettuale italiano è stato ed è tuttora oggetto di una “quasi morbosa” attenzione, capace di esercitare una forte influenza su numerosi studiosi di matrice marxista.
Ecco dunque che una frase di Antonio Gramsci viene proposta come titolo da Nancy Frazer, filosofa e teorica femminista statunitense, per un suo scritto pubblicato nel 2019 e subito edito in Italia da Ombre Corte: Il vecchio muore e il nuovo non può nascere.
Fraser analizza il recente scontro politico avvenuto negli Usa in piena campagna elettorale per le elezioni presidenziali che poi vedranno la vittoria di Biden e la sconfitta di Donald Trump.
Sullo sfondo dell’agone politico la crisi dell’egemonia neoliberista e il sorgere di due populismi contrapposti, quello regressivo di Trump e quello progressivo di Sanders.
Fraser, in estrema sintesi, utilizza due concetti: “riconoscimento e distribuzione” che potrebbero essere più semplicemente chiamati “diritti e redditi.”
Qual’è il blocco egemonico (e qui si coglie il costante riferimento al pensiero di Gramsci ) uscito vincitore dalle elezioni presidenziali?
Non troveremo una risposta esplicita visto che il testo è antecedente agli esiti del voto.
Fraser, nella chiara analisi dei cosiddetti blocchi egemonici costituitisi attorno a Sanders e Trump, coglie ed individua la crisi del modello neoliberista nella progressiva contrazione dei diritti sociali e individuali e nel sostanziale rafforzamento della parte piu’ ricca della popolazione Usa.
Se in Italia, e da sinistra, si critica certo femminismo mainstream o si asserisce che i diritti sociali sono finiti nel dimenticatoio a vantaggio di quelli civili rischi il linciaggio politico.
Del resto anche la critica allo Stato di eccezione e all’utilizzo dei Green pass è stata lasciata a determinate frange della destra pensando come prioritario il sostegno (condiviso peraltro da chi scrive) al DDL Zan.
Non pensiamo all’antitesi tra i cosiddetti “diritti civili” e “diritti sociali”.
Sostenere gli uni non dovrebbe precludere la tutela degli altri: occorre recuperare una visione di insieme della società e dei rapporti economici e di classe nonchè del potere .
E’ interessante, per tornare all’America, comprendere quali siano i settori sociali usciti rafforzati dal Trumpismo: le aliquote alle imprese sono passate dal 35% al 21%, ma la riduzione delle tasse per le famiglie è stata in proporzione assai più tiepida.
Si è passati dal 39% al 36%: il risparmio fiscale per il 20% cosiddetto ricco della popolazione americana è stato superiore di 127 volte quello registrato dalla working class.
Trump ha rafforzato il potere economico e politico delle élites proprio quando si presentava come alfiere dei diritti della working class bianca, mentre le attenzioni alla classe lavoratrice di Sanders facevano quasi esclusivo riferimento ad un bacino elettorale articolato nelle metropoli e nei centri urbani.
Sanders non guardava, dunque, solo a settori industriali usciti con le “ossa rotte” dai processi liberisti di delocalizzazione e privatizzazione portati avanti fin dalla amministrazione Reagan.
La sconfitta di Sanders ha consegnato la classe operaia al populismo reazionario.
Chi aveva votato il candidato democratico alle primarie, poi alle presidenziali virò verso Trump che ben presto seppe disattendere agli impegni assunti in materia di reddito per proiettarsi sul riconoscimento dei diritti di pochi a discapito dei molti.
Le scelte materiali della amministrazione Trump hanno rafforzato il potere della Polizia, sdoganato i suprematismi bianchi, rimosso progetti sociali e leggi pensate per la tutela della donne, delle minoranze etniche e a difesa delle comunità LGBTQ, istanze che successivamente si sono rivelate importanti per la vittoria di Biden.
Buona parte dei movimenti contro Trump, presenti soprattutto nelle metropoli Usa, sono stati prevalentemente risucchiati dalla Amministrazione Biden cosi come accadde con l’Amministrazione Obama e il movimento Occupy.
E i movimenti anti Trump avevano contenuti e prospettive assai radicali rispetto al programma di mandato della Presidenza democratica Biden: se queste istanze non troveranno espressione o anche parziali risposte, saranno i blocchi reazionari a tornare egemoni.
Il vero problema è rappresentato dalla assenza di una alternativa al neoliberismo e da una sostanziale mancata comprensione di quali siano i blocchi sociali ed economici a sostegno della Presidenza Biden.
Per tornare, e chiudere, con la Fraser: se il vecchio muore e il nuovo non può nascere, soluzioni reazionarie potrebbero presto essere alle porte, presentandosi come la risposta migliore alla crisi del sistema anche se parte stessa del danno.
E la lotta ai populismi, anche quelli progressivi, diventa determinante per la vittoria di un neoliberismo temperato che saprà adeguarsi alla crisi pandemica rivedendo le sue ricette unicamente orientate al sostegno delle logiche del profitto e del capitale.
In America come in Italia.
Federico Giusti
Delegato RSU, Sindacato di base CUB Pisa
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