A proposito de “La società senza dolore” di BYUNG-CHUL HAN

A proposito de “La società senza dolore” di BYUNG-CHUL HAN

A proposito de “La società senza dolore” di BYUNG-CHUL HAN 1024 489 Edi Natali

A proposito de

La società senza dolore. Perché abbiamo bandito la sofferenza dalle nostre vite, (Einaudi, Torino, 2021), di BYUNG-CHUL HAN.

 

Nel testo, Byung-Chul Han pone per scritto alcune osservazioni che ci danno il ‘la’ per ulteriori riflessioni.

Scrive il filosofo coreano che noi “viviamo in una società della positività che tenta di sbarazzarsi di tutto ciò che è negativo”.

Tutto ciò che è negativo è bandito dalla ‘città’;  come un tempo Platone aveva espulso i poeti perché pericolosi e fonte di instabilità,  oggi ad essere espulso è tutto ciò che è segnato da fragilità, debolezza e malattia.

La psicologia stessa da negativa passa a positiva: non si occupa più della sofferenza ma della felicità e del benessere, sostituendo i pensieri ‘negativi’ con pensieri positivi.

La resilienza, termine oggi tanto in voga, sta perdendo il suo antico carattere: un tempo essa era conquistata con fatica e lentezza e nasceva veramente da una grande sofferenza; oggi invece è diventata un semplice imperativo  a stare bene.

Ma la ‘coercizione’ a stare bene ha un fine molto preciso nella nostra società, cioè quello di ricondurre velocemente la persona ad essere efficiente ed utile.

Per ottenere questo, il nostro tempo non si fa remore nell’uso, o meglio, nell’abuso di farmaci.

Così scrive P.B Morris riguardo la popolazione americana: “Gli americani di oggi  appartengono alla prima generazione sulla Terra che considera un’esistenza priva di dolore come una sorta di diritto costituzionale  e la sofferenza uno scandalo”.

Le nostre società occidentali,
dunque, mettono al bando il dolore
come segno di fralezza,
come elemento da nascondere o da eliminare.

 

Nella società dei like, che espelle ogni non compiacenza, in quella di Istagram, dove ciò che ha difetto sovente non appare o è camuffato attraverso filtri o trucchi fotografici… la vita che viene raccontata è caratterizzata dalla ‘positività – la bella situazione, il bel posto, etc.-,  in tutto questo il dolore è messo a tacere e il suo carattere catartico e creativo è quasi scomparso del tutto.

Come infatti non ricordare la ‘catarsi’ vissuta da chi assisteva alla rappresentazione di una tragedia greca?

O la sofferenza di molti autori nella loro produzione letteraria?

Così, la vita si è ridotta a processo psicologico, a qualcosa di funzionale, perdendo ogni sacralità.

Ma noi, come scrive Nietzsche, “non siamo ranocchi pensanti, apparecchi per obiettivare e registrare, dai visceri congelati – noi dobbiamo generare costantemente i nostri pensieri dal nostro dolore e maternamente provvederli di tutto quel che abbiamo in noi di sangue, cuore, fuoco, piacere, passione, tormento, coscienza, destino, fatalità”.[1]

L’uomo non può essere ridotto ad una dimensione calcolante, non esiste un algoritmo capace di provare dolore, capace di trasformare l’esperienza del dolore in esperienza spirituale.

 

[1] F. Nietzsche, La gaia scienza e Idilli di Messina, trad. di F.Masini, in Opere, vol. V, tomo II, Adelphi, Milano 1977, 245.

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LA SOCIETA’ SENZA DOLORE – PERCHE’ ABBIAMO BANDITO LA SOFFERENZA DALLE NOSTRE VITE
di Byung-Chul Han

Edi Natali

Nata a Pistoia il 30/04/64, dopo gli studi classici si laurea in Filosofia presso Università di Firenze con un lavoro sulla filosofia di G.W. Hegel; durante quegli stessi anni inizia il suo interesse per la Teologia che la porterà a conseguire, prima, il titolo di Magistero in Scienze Religiose, poi la Licenza in Teologia Dogmatica presso la Facoltà Teologica dell’Italia Centrale...

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