Richard Roper “Qualcosa per cui vivere” , Einaudi 2020.
Andrew è un funzionario del Comune della Londra dei nostri giorni, e svolge una mansione del tutto particolare: occuparsi dei cosiddetti “funerali di povertà”. Perché ci sono persone, a Londra come in chissà quante altre parti del mondo, che muoiono così come sono vissute: in solitudine. Andrew ha il compito di rintracciarne i parenti, perlustrare le loro abitazioni ormai vuote. Andrew dice di avere una splendida moglie e altrettanto splendide fanciulle.
Ma non è così. Andrew….
Basta così. Parliamo di questo sorprendente, delicato e bellissimo romanzo direttamente con l’Autore, Richard Roper.
E’ bastato un messaggio via messanger, e l’Autore si è immediatamente dichiarato disponibile a rispondere alle nostre domande. Un dialogo – svoltosi successivamente tramite un fitto scambio di email – che riportiamo in traduzione italiana: ci perdoni Roper per le eventuali imperfezioni.
L’intervista è a cura di Margherita Occhipinti che, dopo l’intenso dialogo con Tea Ranno e il suo romanzo Terramarina pubblicato il mese scorso su questo blog, sembra averci preso gusto.
Buona lettura a tutti.
Massimo Trocchi
OCCHIPINTI: “Qualcosa per cui vivere”. Suona così il titolo in italiano, ma è uno dei casi in cui in cui la grammatica inglese, grazie al “for” posizionato alla fine (“something to live for” è il titolo in originale) aiuta ancora di più a comprendere quanto questo libro sia qualcosa che apre, spalanca e schiude pur nella drammaticità dei contenuti che attraversa.
Ignoravo che esistessero i “funerali di povertà” e non ho mai conosciuto un impiegato comunale che si occupi di questo ufficio. Se ne conoscessi uno, vorrei che assomigliasse a Andrew, il protagonista strampalato, con un’umanità silenziosa, ferita e vigile di questo affascinante romanzo.
Conosco invece tanti che nascondono la loro umanità – proprio come accade nel romanzo – dietro ad un nickname del web e che fanno di alcune personali improbabili passioni delle apparenti ragioni di vita.
Dentro alla scelta di questo insolito lavoro per il protagonista c’è già un presidio di umanità sociale: la vita di un uomo è patrimonio di tutti, fino alla fine.
Perchè hai scelto questo contesto così inusuale per sviluppare la storia di Andrew?
ROPER: Ho letto un articolo di giornale in cui seguivano per un giorno la vita di qualcuno che faceva il lavoro di Andrew.
Sono rimasto affascinato e realmente toccato dalla storia.
Le persone che fanno il lavoro di Andrew nella vita reale sono così coraggiose ed altruiste che ho capito subito di voler costruire una storia su una persona con una storia simile, una persona che si impegna con le persone che muoiono da sole mentre essi stessi temono di fare la stessa fine.
OCCHIPINTI: I funerali sono descritti come funerali di povertà, quasi a dire che è la solitudine la più grande povertà. Cosa spinge Andrew a superare i suoi doveri lavorativi e compiti amministrativi, e ad accompagnare i suoi assistiti fino al funerale?
ROPER: Questo aspetto nasce da una ricerca che ho fatto per scrivere il libro.
Molte delle persone che fanno il lavoro di Andrew nella vita reale partecipano anche ai funerali se le persone che assistono non hanno né amici né familiari. In un gesto così piccolo c’è qualcosa di profondamente umano e pieno di speranza, e allo stesso tempo tragico e che spezza il cuore. Ho sentito naturale che Andrew, terrorizzato per se stesso di fare una fine del genere, volesse superare i suoi doveri.
che ti scuota...
e renda libero.
OCCHIPINTI: C’è un “in più” di umanità in Andrew, che lui però avverte come un peso: un “di meno”. Talmente “meno” che occorre nasconderlo e nascondersi in una farsa continua di apparente normalità.
Come sempre nella vita, le ragioni “apparenti” sono schiantate dai fatti, avvenimenti che succedono in maniera imprevista e ti rimettono in discussione. Avvenimenti che spesso hanno il nome e i contorni dell’amore: è il caso di Peggy, nuova collega di ufficio che piomba nella vita di Andrew. Un amore che accade e si sviluppa nel senso più profondo del termine: un “bene” che ti fa sentire guardato, capace di affermare che esisti, e che permette di guardare al futuro con una speranza. E’ evidente nel tuo romanzo che si cambia di fronte ad un fatto e non… di fronte allo specchio. Questo è molto vero nella mia esperienza. Lo è anche nella tua? Come lo hai scoperto?
ROPER: Sì è vero anche nella mia esperienza. Ho sofferto molto di solitudine in passato e una delle cose che rende tutto più difficile è che dopo un po’ che vivi da solo… stare da solo diventa comodo e al tempo stesso sconvolgente.
Più tempo passi da solo, più diventa difficile uscire dalla propria solitudine. E puoi fare del tuo meglio…ma a volte ci vuole una forza esterna – che si tratti di un cambiamento di circostanze di vita, o di lavoro o di una nuova persona che entra nella vita – che ti scuota e ti renda libero.
OCCHIPINTI: Grazie, Richard. Questa tua storia è assolutamente una storia di un “bene”, capace di sciogliere nodi, aprire al futuro, e risolvere il passato. Da leggere e da regalare. Ti ringraziamo di cuore: superata l’improbabile traduzione di questi spunti, hai deciso subito di risponderci.
Ti lascio con un’ultima curiosità: ma davvero ti piacciono i fagioli col pane tostato?
ROPER: Davvero una buona domanda. Personalmente non lo so. Ma nell’ambito di un perfetto pasto tipico inglese – semplice, genuino e avvolgente- ho pensato che ad Andrew potessero piacere. Non oso immaginare quanto strano possa apparire ad un lettore italiano!
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