La chiave del secolo…per niente breve.

La chiave del secolo…per niente breve.

La chiave del secolo…per niente breve. 1024 512 Renato Tamburrini

In margine a La chiave del secolo: interpretazioni del Novecento, di Corrado Ocone, Rubbettino, 2019

Questo post ha un antefatto biografico-culturale, che vi devo raccontare.

Con una compagnia di ventura “di fatto” abbastanza avventata ma ormai consolidata –  Massimo, Antonio, Gualtiero, Federico ed io – avevamo pensato di dedicare al libro di Ocone un pomeriggio – col soccorso di un paio di menti accademiche, tra cui di sicuro l’a noi carissimo Eugenio,  e la conduzione di Eleonora e Stefano (i cognomi non li posso spoilerare, saranno la sorpresa dell’evento in presenza) –  per sviscerarlo nei suoi temi portanti, squisitamente filosofici e filosofico-politici, ma anche con l’ambizione di suggerire almeno qualche spunto per la comprensione d’insieme di un secolo per molti aspetti ancora vivissimo.

Quello che avevamo in mente però si sarebbe prestato poco alla trasformazione in presentazione on line.

Perciò abbiamo preferito aspettare tempi migliori e pandemicamente rassicuranti, sperando nella possibilità di organizzare qualche cauto e vigilato “assembramento”.

Intanto mi anticipo
con qualche riflessione
e qualche domanda
quelle che avrei probabilmente fatto in pubblico.

Bisogna dire che “Interpretazioni del Novecento” è un sottotitolo troppo attraente, e di suo indurrebbe nella pericolosa tentazione di utilizzare la “chiave” per curiosare in più di un cassetto.

Certamente il secolo si porta dietro quella connotazione di brevità, che gli ha attribuito Hobsbawm in contrapposizione al “lungo” Ottocento: se questo è vero sul piano delle scansioni degli eventi e se è corretto delimitarne i confini tra la scoppio della prima guerra mondiale e la caduta del blocco comunista sovietico, non si può ignorare che sul piano della storia delle idee ci siamo ancora pienamente dentro, nonostante le novità introdotte dalla crisi della globalizzazione triumphans a partire dagli anni 10.

Non ci è dato ancora sapere se l’assetto post-covid porterà altri mutamenti, e quanto profondi.

Di fatto la narrazione della storia ha bisogno di scansioni e di ritmi, ma le idee viaggiano in uno strato più profondo, in un magma dove le brusche soluzioni di continuità sono invisibili, se non proprio inesistenti.

Non è una novità, se solo pensiamo a quello che da qualche secolo ci rappresentiamo come il paradigma di tutte le fratture, la cosiddetta caduta dell’Impero romano, e ai lunghi secoli in cui novità e persistenze si intrecciarono così fortemente da farci arrivare perfino a mettere in crisi l’idea stessa di Medioevo come tempo intermedio tra l’antichità e la modernità.

Una lunghezza soprattutto filosofica, che Ocone consapevolmente esplicita fin dalle prime pagine:” la metodologia filosofica è valida in generale, probabilmente, ma lo è di più e a maggior ragione per un secolo, che forse tanto “breve” non è stato (e le cui propaggini in realtà arrivano fino a noi), ma che sicuramente è stato il secolo delle ideologie di massa, delle idee e della filosofia che hanno inteso farsi potere”

I saggi che compongono il volume sono prima di tutto un vero excursus attraverso gli snodi del pensiero, ma non se ne stanno certo lì ad aleggiare nell’empireo delle idee.

Tutto è argomentato, e l’autore non si discosta mai da uno stile accademico e sobrio.

Potremmo dire che non alza mai la voce.

Ma in più di un punto rovescia con pacato vigore le tesi dominanti, sia riguardo alle figure di Nolte e Del Noce e alla loro interpretazione del Novecento, oggetto del primo capitolo, sia – soprattutto – riguardo alla lettura del Sessantotto come “apocalisse dell’ideologia italiana”, un capitolo particolarmente contromano, che direi centrale per il nesso filosofia-ideologia-politica-attualità.

Ma non c’è ambito in cui non si possa ricavare un arricchimento e una prospettiva per interpretare la nostra contemporaneità, che si parli di Derrida o di Heidegger, o ancora del liberalismo, di Croce e De Ruggiero o – infine – della genesi, della proponibilità e del rilievo dell’Italian theory, dove si confronta con un lavoro del Roberto Esposito, filosofo di scuola pisana.

In tutti i saggi, anche quelli più ‘tecnici’ e strettamente legati alla storia della filosofia, si può vedere in filigrana quanto dichiarato nel risvolto di copertina, ossia la preoccupazione e la cura che animano la domanda di fondo:  se oltre la crisi evidente c’è un futuro possibile per la civiltà occidentale e per il liberalismo che ne è stata la cifra essenziale e più originale.

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Renato Tamburrini

E’ nato in Valcomino, al crocevia tra Lazio, Abruzzo e Molise. Vive in Toscana da molti anni, con sintomi talora preoccupanti di bipolarismo etnico e culturale...

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