Resta nel tuo stupore

Resta nel tuo stupore

Resta nel tuo stupore 1024 489 Silvia Guidi
Appunti sul tema della meraviglia come esercizio spirituale nella poesia di Karol Wojtyła

 

“Posa un attimo lo sguardo sulle gocce di fresca pioggia – scrive Karol Wojtyła in un componimento del 1952, Pensiero-Strano spazio Vedi, in esse concentra la sua luce/tutto il verde delle foglie di primavera/E così quasi tutte si addensano nelle gocce traboccando dai propri confini”

La meraviglia della creazione attira il suo sguardo, gravida di una promessa inesauribile, pronta a regalare quella sana inquietudine che nessuna risposta parziale è capace di mettere a tacere.

Così si legge nei versi seguenti:

“Ed anche se i tuoi occhi sono pieni di stupore non puoi, non puoi davvero aprire tutto il tuo pensiero/Invano cercherai di acquietarlo, come un bambino destato dal sonno/Non rinunciare al  bagliore degli oggetti resta, caro, nel tuo stupore”

Resta nel tuo stupore, dice Karol al lettore; non avere fretta di chiudere la domanda che ti si è spalancata nel cuore con risposte immediate ma banali, o comunque limitare, ridotte rispetto all’ampiezza della domanda.

“Parole inutili. Come, non senti?”

scrive l’autore descrivendo la pressione dell’invisibile su di lui, il misterioso dialogo a cui si sente convocato.

Le parole sono pur sempre un tentativo di circoscrivere il Mistero, di “capire” in senso etimologico, cioè rinchiudere in un recinto concettuale ciò che è più grande di qualsiasi recinto. Le parole possono essere la miccia che innesca il processo di conoscenza, ma non la risposta esauriente.

Per sua virtù – continua Karol – sei così immerso nel chiarore delle cose/ che devi cercare per esse in te uno spazio migliore”.

Davanti agli occhi del poeta-attore, abituato a visualizzare e dare forma concreta alle sue esperienze interiori, la scrittura (con la maiuscola nel caso della Parola di Dio, e con la minuscola nel caso di versi, saggistica, narrativa) si apre un varco.

Leggere  quel ricamo sottile di parole sulla pagina lo colpisce come un messaggio in codice da decifrare. Anche i suoi versi sono frasi non necessariamente solenni, o pretenziose; spesso hanno un tono dimesso, sono annotazioni modeste, quotidiane, ma saldamente ancorate alla vita di tutti i giorni nelle piazze, alla fermata dei bus, all’esperienza del lavoro ripetitivo e faticoso alla Solvay. Porte, oltre che ponti, architravi e varchi verso una realtà altra, non ancora conosciuta.

Non rinunciare
al bagliore degli oggetti.
Resta,
caro,
nel tuo stupore.

Ecco un passo del dramma Fratello del nostro Dio, scritto nella seconda metà degli anni Quaranta del Novecento che contiene una cifra, spirituale emblematica del poeta-attore di Wadowice.

“Continua a cercare. Ma che cosa? Forse ho cercato abbastanza. Ho cercato fra tante verità. Tuttavia queste cose possono maturare soltanto così. Filosofia…Arte…La verità è ciò che infine viene a galla come l’olio nell’acqua. In questo modo la vita ce la svela (…) a poco a poco, in parte, ma continuamente. Inoltre essa è in noi. In ogni uomo. Ed è qui appunto che essa è vicina alla vita. La portiamo in noi, è più forte della nostra debolezza. Ed è così in uno, in due, in cento uomini. Che cos’è la verità, dove si trova? La vita è fatta di uomini attraverso i quali essa scorre ampiamente e alla foce si incontra con una nuova luce che da loro emana. Si, sì…esistono uomini uniti alla Verità, i quali non si allontanano dal suo cammino, ma grazie a un equilibrio interiore rimangono fra le sue braccia”.

Restare tra le braccia della Verità coincide con il permanere nello stupore di fronte a tutto ciò che esiste.

“I concetti creano gli idoli, solo lo stupore conosce” secondo la celeberrima frase di Gregorio di Nissa.

Wojtyla, poeta della pietra e dell’immenso, come è stato definito in patria, poeta del divino-umano, è costantemente guidato da una “postura” di fronte alle cose che possiamo riassumere con la parola “meraviglia”, fonte di canto, di gioia e gratitudine che diventano grido, fonte di domanda costante a un Tu misterioso, anche nel dolore più incomprensibile, lancinante e difficile da accettare.

Lo stupore è alla sorgente della creazione poetica e al suo termine naturale, quando l’opera passa attraverso la vista, l’udito e la consapevolezza del lettore. La meraviglia si trova al fondo di ogni suo approccio al mondo, è il movimento originario del sapere, la leva da cui tutto ha inizio.

Wojtyla ha scritto poesie dai diciannove anni fino al Trittico Romano del 2003.

"E' un poeta
con tutte le carte
in regola.."

…scriveva Giovanni Raboni; i suoi sono «testi autentici e credibili, proprio perché somiglianti alla vita d’un uomo che non ha mai preso decisioni prive di peso, di drammaticità, di sofferenza. E non è forse questo ciò che si chiede, per sentirla davvero tale, anche alla poesia? Non è di casualità, di gratuità, di (l’ombra di Calvino mi perdoni) eccessiva “leggerezza” che le parole della poesia rischiano per lo più di ammalarsi e morire?».

Nel componimento del 1952 intitolato Pensiero-strano spazio che abbiamo citato all’inizio, protagonista del canto è Giacobbe, descritto nel momento cruciale della lotta con Dio: «Non ti chiamerai più Giacobbe, ma Israele, perché hai combattuto con Dio e con gli uomini e hai vinto». Una travaglio, un parto, da cui l’uomo esce segnato, come colui che ha visto Dio faccia a faccia; una nascita e una conquista: perché la realtà mai gli si era aperta davanti così all’improvviso.

«Io credo tuttavia che l’uomo soffra soprattutto per mancanza di “visione”»

amava dire Wojtyła riecheggiando il celebre adagio di Riccardo da San Vittore, Ubi amor ibi oculus.

Perchè la capacità di “vedere” ha sempre a che fare con l’amare.

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Silvia Guidi

Giornalista per caso, grazie al lavoro in radio e nella rivista Semicerchio nella Firenze degli anni Novanta e ad una Borsa Formenton caduta inaspettatamente dal cielo della costellazione Mondadori...

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