Rosso…giallo…arancione…
nella babele degli ultimi giorni io scommetto sull’azzurro del cielo di Roma che ha accolto i ragazzi della “Rete degli studenti” riuniti davanti a Montecitorio a far lezione senza banchi e con le maschere dei politici sul volto.
Abituati al frastuono stiamo facendo passare sotto silenzio una grande rivoluzione: studenti e professori uniti a far lezione all’aperto, sui marciapiedi, consapevoli che solo stando insieme si impara, si cresce.
Anita, che per prima ha dato l’esempio, i tanti ragazzi che l’hanno seguita, i loro professori sarebbero piaciuti a don Milani: stanno mettendo in pratica il significato e il valore del piccolo “con”, il segreto della scuola.
Perché “con” gli altri si costruisce, si cresce,
si impara, si cade, ci si rialza, si ama.
E dove si sta insieme se non a scuola?
Anita e i suoi compagni vogliono questo, che la scuola torni ad aprire i suoi portoni: ne hanno bisogno come l’aria.
Ho partecipato ai primi scioperi per Trieste italiana, i miei genitori mi dissero che era solo un motivo, per quanto nobile, per prendersi un giorno di vacanza.
Forse avevano ragione, ma con quei compagni, in quella scuola, ho imparato il valore dello stare insieme e della comunità. E degli affetti.
La Dad (che orrore!) la didattica a distanza, è la negazione dell’idea di scuola.
Sotto il cielo del Covid-19 siamo stati il Paese che ha mantenuto più a lungo le scuole chiuse, ora siamo il primo Paese europeo a chiuderne una buona parte, mentre “montagne di studi nelle scienze sociali ci dicono che chiudere la suola oggi rappresenta una ipoteca sul futuro di una intera generazione” (Francesco Drago & Lucrezia Reichlin, Corriere della Sera, 16 Novembre 2020).
Non è colpa del COVID-19, la nostra classe politica non ha mai amato troppo la scuola, le è bastato riempirsi la bocca con la parola: riforme.
Chapeaux ragazzi!
È vero, per la scuola vale la pena scendere in piazza. Buona fortuna.
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