In questi ultimi anni – e a partire dal successo editoriale del volume di Andrea Marcolongo (La lingua geniale – 9 ragioni per amare il greco, Laterza 2016) ho assistito nelle mie lunghe e piene giornate in libreria ad una vera e propria proliferazione di pubblicazioni “inneggianti” la ripresa del ricco patrimonio culturale del cosiddetto “mondo classico”. A partire da questa constatazione è nato in me il desiderio di capire di più, anche perché – come dicevano i nonni – non “tutto è oro quel che luccica”. Quasi in maniera naturale, la memoria è tornata al mio periodo universitario e ai miei studi classici. Sono andato così a disturbare il Professore con cui svolsi e conclusi – ormai vent’anni orsono – l’intero percorso di studi: Riccardo Di Donato, Ordinario di lingua e letteratura Greca all’Università di Pisa, e già Direttore del Dipartimento di Filologia Classica della medesima Università.
Ecco il resoconto della nostra breve chiacchierata.
Trocchi: Ben ritrovato, Professore! Una vita, la sua, dedicata alla comprensione delle forme e molteplici manifestazioni del pensiero greco. Come le nacque, in gioventù, il desiderio di studiare le “lettere classiche”, fino a dedicargli buona parte delle sue energie umane e intellettuali?
Di Donato: Come accade per ciascuno di noi, credo di essere il prodotto di una serie di elementi, alcuni interni ed altri –non meno importanti- a me esterni. L’interesse, esito a scrivere l’amore, per la letteratura e la storia è cresciuto dalla fine dell’infanzia con il procedere, sempre più intenso delle letture adolescenziali. Al momento della scelta universitaria, il fattore determinante è stato costituito dalla formazione liceale e dalla diversa qualità di coloro che ne sono stati responsabili.
Ho frequentato le scuole medie e il Liceo classico tra la fine degli anni Cinquanta e il 1965 a Roma in uno degli istituti di maggiore tradizione e importanza, il Liceo Virgilio.
Era ancora la stagione in cui le cattedre liceali erano onorate da personalità che portavano a scuola i frutti di esperienze non comuni. La mia insegnante di storia era stata attiva nella Resistenza nel bresciano, poi, amica di Dossetti e di La Pira, era stata deputata alla Costituente per la Democrazia Cristiana. L’insegnante di matematica, stretta collaboratrice di Lucio Lombardo Radice ed Emma Castelnuovo, era attivissima nella sperimentazione delle nuove forme della didattica. L’insegnante di italiano, aveva gli anni del secolo: era stato giovanissimo volontario nell’impresa di Fiume con D’Annunzio. Convertito poi agli studi, aveva gravitato a lungo a Napoli nel circolo crociano. Appassionato di poesia ermetica, scriveva, negli anni in cui l’ho frequentato, i libretti per le opere di Nino Rota, il musicista che ha dato i suoni ai film di Fellini. Il professore di latino e greco era napoletano e comunista. Arrivava in aula con l’Unità in tasca, ben piegata dopo la lettura. Cominciò la prima lezione chiedendo a ciascuno di noi perché mai a scuola si studiasse ancora il greco ed il latino. Ascoltò con pazienza trenta diverse risposte piene di buone intenzioni e disse la sua. Le lingue antiche vanno conosciute per capire bene quello che hanno detto e scritto quegli uomini di tanto tempo fa. Ho letto –guidato da lui- molta poesia, nelle diverse forme, epiche, liriche e tragiche. A lui debbo di aver letto a scuola l’Agricola di Tacito, ed aver tremato all’ultimo discorso del capo dei Britanni che si oppone a Roma in nome della libertà: solitudines faciunt, pacem appellant. Fanno il deserto e lo chiamano pace. E – di prosa greca – il Critone di Platone ove le Leggi, evocate da Socrate contro chi lo esorta a fuggire, richiamano ai doveri verso la comunità civica, da cui tanto si riceve e qualcosa si deve restituire. Alla fine, ho fatto la mia scelta. Ho studiato gli antichi sempre cercando di non dimenticare il tempo in cui ho vissuto.
è buona norma verificare i cambiamenti
che produce in chi ne diviene destinatario
(guai a dire oggetto!)
Trocchi: Ricordo bene come, partecipando alle sue lezioni e seminari, scoprissi in me una certa “intimità” – senza averne piena consapevolezza – con i fenomeni e le linee del pensiero della Grecia antica. E ricordo con altrettanta chiarezza la sua attenzione nel guardare, e farci guardare, ai fatti del passato, con uno sguardo sempre rivolto al presente. Eppure l’adagio secondo cui “occorre conoscere il passato per capire il presente” ho l’impressione che spesso venga utilizzato come puro slogan, senza una piena coscienza della sua pregnante verità da parte di chi di volta in volta lo propone nei differenti ambiti istituzionali e della vita civile. Si sa, comunque, che gli adagi contengono spesso grandi verità: la sua lunga esperienza di educatore come, e in che modo, ha corroborato questa convinzione?
Di Donato: Per misurare l’efficacia dell’insegnamento è buona norma verificare i cambiamenti che produce in chi ne diviene destinatario (guai a dire oggetto!) . Un buon insegnante non deve produrre omologazione ma sviluppare capacità di ragionamento e di critica. I libri sono importanti ma gli uomini lo sono di più. Capire quelli del passato è una buona strada ma si vive nel presente ed è in questo che si deve operare.
A Pisa, all’Università, tra il novembre del ’65 e il giugno del 1969, quando mi sono laureato discutendo una tesi su tecnica formulare e poesia orale in Omero –tema, allora, parecchio all’avanguardia- ho conosciuto prima l’impegno sociale (l’alluvione del 1966) e poi la politica (il cosiddetto ‘68, che a Pisa fu soprattutto un ‘67). Questo ha rallentato alcuni processi del mio svolgimento intellettuale ma ne ha attivati altri che hanno riempito e dato senso alla mia vita. Ho cercato costantemente di trasmettere coscienza di questo nell’insegnamento. Credo Lei ricordi la pratica dell’exergo del lunedì. Il fuor d’opera che –quando mi pareva necessario- scrivevo con cadenza settimanale per leggerlo prima di riprendere il corso il lunedì mattina.
Se il giorno prima, cinque operai muoiono bruciati nel forno di un’acciaieria non si può cominciare la lezione dicendo: Buongiorno, andiamo al verso 357 e leggiamo in metrica il primo stasimo della nostra tragedia…
Trocchi: Mi perdonerà se insisto con domande che continuano a pescare dalla memoria personale: a metà degli anni ‘90 le matricole iscritte al corso di Laurea di Lettere Classiche sfioravano a Pisa le 200 persone. Oggi i numeri sono impietosamente diversi e drasticamente diminuiti, e non solo presso la nostra Università. Quali i fattori culturali e di mentalità che, progressivamente e negli ultimi decenni, hanno causato un sempre maggiore disinteresse verso la cultura classica anche, e non solo, nelle giovani generazioni?
Di Donato: Non mi pare che si possa parlare di una crisi drammatica. Lo stato delle ricerche e degli studi si mantiene elevato, l’eco mediatica non è continua ma non esprime né disinteresse né ostilità. C’è perfino, come Lei stesso ricordava introducendo qualche fiammata prodotta da semplificazioni che trovano quello che cercano: notorietà e successo. Tutto questo ha una importanza limitata e scarsa ricaduta sulle scelte universitarie. Il numero degli iscritti a Pisa al corso di laurea di lettere antiche si è –da parecchio tempo stabilizzato- intorno alla settantina di nuovi iscritti, ogni anno. Tra questi, una decina sono normalisti. E’ un numero perfettamente adeguato a garantire un buon contributo di futuri insegnanti. Per diretta esperienza, potrei garantire l’efficacia del processo formativo antichistico soprattutto nella formazione di insegnanti di scuola media.
Il vero declino –di quantità e di qualità- è nei licei classici che arretrano in tutto il paese. Fortunati quei bimbi toscani che trovano in prima media un insegnante di lettere ben laureato in greco o in latino. C’è da sperare –ma i meccanismi in atto lasciano poche illusioni- che per i migliori di questi insegnanti ci sia in futuro anche qualche posto nella classe di concorso di latino e greco nei licei. Il mio maggior rimpianto è per la fine, immotivata e carica di conseguenze negative, delle SSIS, le scuole di specializzazione per la formazione degli insegnanti che, per undici anni, hanno fatto un ottimo lavoro che continua a contribuire, attraverso decine di docenti ben formati, alla sopravvivenza della istituzione.
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