Una strampalata teoria ed un po’ di buoni consigli
Cosa abbiamo sullo scaffale?
I libri di viaggio: cosa sono? Ve lo spiego subito, magari con qualche esempio.
Quando vado nella biblioteca pubblica del mio paese, intitolata a Mario Rigoni Stern, in fondo a sinistra c’è uno scaffale con un bel cartello: “VIAGGI”. Sommariamente le pubblicazioni sono sistemate così: sulla sinistra le bellissime riviste “Meridiani”, “Meridiani Montagne” “Itinerari” “Orobie” ed altre. In mezzo ci sono le guide turistiche, dalla Lonely Planet alla Rough e molte altre, nonchè le guide escursionistiche tipo cartine Tabacco ed, esempio ,“90 itinerari nelle montagne bergamasche”.
Sulla destra troviamo la cosiddetta “letteratura di viaggio” con testi che vanno dalle relazioni giornalistiche/esplorative a quelli dove gli autori fan parlare il paesaggio, le genti e la storia: ci torniamo dopo perché è proprio di quest’ultima parte dello scaffale che vorrei scambiare qualche impressione.
Vi sono poi opere in cui il viaggio è co-protagonista , ma qui bisogna cambiar scaffale ed andare su “Letteratura anglo-sassone, tedesca, francese, ispanica…etc” dove troviamo mostri sacri che cito in un mini elenco casuale che lascio al lettore arricchire: Stevenson, Melville, Conrad, London, Poe, Cervantes, Swift, Tolkien e via discorrendo (perbacco, non mi viene neanche un italiano!).
Per non parlare delle letture dell’adolescenza: Verne, Salgari, Motta… Io li ho letti tutti perfino “Al polo australe in velocipede” di Verne.
Premetto che ho una certa predilezione per queste categorie di libri, per cui quello che dirò ne risulterà fatalmente inficiato.
La strampalata teoria
Comincio con l’ annettere, anzi elevare, alla letteratura di viaggio anche la parte sinistra dello scaffale.
Si, perché tutto ciò che desta emozione, curiosità desiderio deve essere assurto alla massima dignità.
Avete mai provato a pianificare un viaggio, un’escursione o un pellegrinaggio verso una meta ed alla fine sembra di esserci stati, anche se vi avete dovuto rinunciarvi per mancanza di tempo o perché costava troppo?
Di quel viaggio non fatto vi sono comunque rimaste conoscenze ed emozioni che la guida o la carta geografica vi ha aiutato a generare.
Alla fine non siamo stati con Jim Hawkins sull’ Hispaniola o con Ismaele sulla Pequod a solcare gli oceani, ma sembra di esserci stati.
Forse la Lonely Planet o la mappa topografica Kompass non scavano altrettanto profondamente nell’animo umano come Melville, non possiamo pretendere troppo, ma diamo atto che con la nostra collaborazione , anche la guida CAI “Monviso” ci fa sembrare di essere stati lassù in cima (lo so perché ci sono stato davvero).
Vi fornisco un’altra prova: sul mio scaffale di casa ho quattro guide della bella collana di “Terre di Mezzo” dedicate ai cammini di più giorni.
Due di questi cammini li ho effettivamente percorsi: ogni tanto mi riguardo le guide e mi rigodo la gioia del cammino.
La guida “Via degli Abati e del Volto Santo” in Garfagnana mi venne inavvertitamente strappata dallo zaino da un arbusto e cadde in una pozzanghera e mi costò almeno quattro chilometri suppletivi per recuperarla, per cui riguardo con ancor più affetto quelle pagine stinte ed appiccicaticce. Ma anche le altre due guide, che ancora non hanno avuto il privilegio di stare nella tasca laterale dello zaino, hanno fatto si che sappia tanto del Gran Sasso, Monti della Laga, della valle del Belice e di Corleone.
Sentite questa:
“Protagonisti di questa nuova esperienza di bellezza non sono più gentiluomini iperesperti ma il cittadino comune che si è acculturato quanto basta per godere dei piaceri dell’immaginazione, molto più accessibili delle esperienze estetiche tradizionali perché più facili da acquisire. Si tratta soltanto di aprire gli occhi e lo spettacolo farà il suo ingresso” (da J.Addison “I piaceri dell’immaginazione” citato in “Scrittori Italiani di viaggio vol. 1” – Meridiani Mondadori, 2008.
Scusate, non so chi sia Addison ma ha reso bene l’idea!
Quindi sta a noi valorizzare la parte sinistra dello scaffale, usando la parte sinistra del cervello! Se non ci credete o non ce la fate peccato per voi: vi toccherà spendere un sacco di soldi in viaggi veri!!
Riconosco la sopraddetta teoria un po’ bizzarra e molto, molto soggettiva: in effetti io la applico anche alla manualistica dei lavori in legno che ho studiato ma solo pochi ho realizzato, per non parlare di manuali in inglese per la costruzione di kayak…
I buoni consigli
… Ma io mi sono messo a scrivere perché volevo parlarvi della parte destra dello scaffale, di come abbia cominciato ad apprezzare questo genere letterario e quali opere mi sono rimaste impresse.
Scusate se vi ho propinato alcune bizzarre (?) teorie: ora vado al nocciolo.
La letteratura di viaggio come la intendono quelli più “imparati “ di me e’ vastissima, sia come quantità che spettro tipologico.
Intendo che nella categoria possiamo trovarvi dalle relazioni asettiche e noiose per la “Geographic Society” (sponsor di turno) fino, all’estremo opposto , narrazioni di genti e paesi che sconfinano nella narrativa: si va dalla semplice registrazione documentaria al capolavoro letterario. In mezzo tutte le tonalità di grigio.
I viaggiatori eruditi
Il libro che mi ha introdotto e fatto apprezzare il genere è “Danubio” di Claudio Magris, del 1986, che io ho letto un paio di anni più tardi.
“Viaggio esterno dunque e avventura interiore, minuziosa documentazione ,erudite digressioni fantastiche di un viandante che visita luoghi e libri, ma incontra anche persone…..” E ancora “Paesaggi, umori, incontri, riflessioni racconti di un viaggiatore che ripercorre con pietosa e con humor il vecchio fiume, dalle sorgenti al Mar Nero”.
Scritto in un italiano spettacolare, ogni tanto me lo riprendo e ne leggo, anzi mi gusto, dei brani in qua e là.
Questo mi da il destro per parlare di una caratteristica di questi libri.
Sono come il breviario dei preti: li puoi leggere un pezzettino alla volta a spizzichi e bocconi, essendo spesso fatti di capitoli “self contained”.
Puoi cambiare l’ordine senza troppo danno: il Danubio lo puoi navigare dalla sorgente al delta (sarebbe meglio) ma anche risalirlo dal mare alla sorgente, senza troppo disturbo.
Sono poi libri “rigeneratori”: quando ti imbatti in un libro che non ti piace e non ti esce di mano, puoi evadere, farti un paio di capitoli di, esempio, “Danubio” e poi riprendi la tua fatica.
Come in montagna, ti fermi, ti fai la tua barretta energetica o il panino al salame e riprendi la salita.
Di Magris consiglio anche “L’infinito viaggiare” del 2006, che raccoglie articoli e riflessioni sin dagli anni novanta: mi è piaciuto molto ed anche qui ritorno ogni tanto a visitarlo.
Di recente ho scoperto Patrick Leigh Fermor. Curiosamente il suo viaggio è in buona parte geograficamente sovrapponibile a quello di Magris. Nel 1933 intraprese il viaggio che in due anni di cammino dall’Inghilterra lo avrebbe portato a Costantinopoli. Dal lungo cammino nascono tre libri “Tempo di regali”, “Fra i boschi e l’acqua” e “La strada interrotta”. Io ho letto solo il primo, ed ho in “to do list” i due seguenti.
Quasi come Magris, anche Fermor mostra grande erudizione nel raccogliere spunti e descrive genti e paesi con curiosità ed attenzione. In più il nostro viaggia a piedi, anche in inverno, e non mancano anche cenni alla performance atletico/escursionistica.
Del resto nel 1942 come agente speciale dietro le linee fu paracadutato a Creta, dove partecipò alla cattura del generale tedesco che comandava il presidio nazista. I libri di sopra citati li scrisse nel dopoguerra, anni più tardi, quando si stabilì in Grecia nella selvaggia regione del Mani, meglio nota come il dito in mezzo del Peloponneso. Lì scrisse appunto “Mani – viaggi nel Peloponneso” a detta dei più il suo libro più bello.
Siccome nel 1989 sono stato nel Mani, ma non conoscevo ancora Fermor, sono sicuro che questa lettura risulterà molto educativa e quindi toccherà aggiungerlo nella mia “to do list”.
Sempre per stare su questi inglesi, viaggiatori per eccellenza, ho un bel ricordo di “La via per l’Oxiana” cronaca, alle volte un po’ pedante, di un viaggio tra la Persia e la valle del fiume Uxur, l’odierno Afghanistan, viaggio intorno al 1910, anche se non ricordo perfettamente. L’autore è Robert Byron. Cito questo libro primo perché l’ho letto ,e poi perché Bruce Chatwin, a suo dire, se lo portava seco nel suo peregrinare.
E siamo cosi arrivati al massimo.
Insieme a “Danubio”, “In Patagonia” è il libro che più mi ha fatto apprezzare il genere: panorami, storie, leggende, fantasmi del passato, melanconia, solitudine, tanti incontri: una lettura indimenticabile. Alcuni dei posti narrati da Chatwin ho avuto la fortuna di vederli, anche se da turista e non da viaggiatore.
Il libro mi piacque tanto da indurmi a leggere l’opera omnia del nostro Bruce.
Consiglierei, tra gli altri, “La via dei canti” sulle solitudini e le popolazioni dell’Australia. Non c’entra col viaggio, ma c’è un libricino di Chatwin che leggerete in un paio d’ore, un romanzo breve o un racconto lungo che ho trovato una meraviglia: “Utz”. Se potete non fatevelo mancare!
(Adesso, visto che siamo in Patagonia ,dovrei parlare di Coloane e di Supulveda. Fermatemi, per favore!)
Un libro di esplorazioni: “I fiumi scendevano a oriente” di Leonard Clark, sull’esplorazione degli affluenti che dalle Ande scendono verso ed a formare il Rio delle Amazzoni. Si legge come un romanzo, io l’ho trovato bellissimo.
Basta inglesi (che del resto sono i viaggiatori per antonomasia), veniamo ai Nostri, non prima di avervi segnalato il polacco Kapuscinsky con “Ebano”: l’Africa nel suo splendore e disperazione: da non perdere!
Tra gli Italiani segnalo Tiziano Terzani: “Un indovino mi disse” e’ un ritratto magnifico dell’Asia pre-industrializzazione e globalizzazione, di cui probabilmente sono rimaste poche tracce. Il libro infatti è degli anni ’70 del secolo scorso e la trasformazione si intravvedeva già.
Per chi non lo sapesse: un indovino predice al Nostro che nell’anno a venire potrebbe morire, per cui rifiuta di viaggiare in aereo e comincia a peregrinare in Asia a piedi e con tutti i mezzi navali e terrestri, avendo modo così di arrivare sulla pelle di quei popoli e paesi.
E poi… Rumiz: un triestino innamorato della sua triestinità e identità di confine, che viaggia molto anche a piedi, fa percorsi a tema, sconfina nella storia e nelle storie e curiosa dappertutto.
Mi sono piaciuti soprattutto “Annibale” dove l’Autore segue il percorso del condottiero Cartaginese lungo la penisola soffermandosi nei luoghi più significativi (il Trasimeno, Canne….) e “La leggenda dei monti naviganti” dal mare di Trieste lungo le Alpi, i luoghi della Grande Guerra fino alla Marittime e poi giù lungo L’Appennino. Tanti temi, tanta gente, tanta roba!
Dovrei citarne altri, ma per trarmi dall’impaccio cito il già citato cofanetto de I Meridiani “Scrittori Italiani di Viaggio”“ a cura di Luca Clerici.
Merita di essere menzionato perchè è una esaustiva panoramica di brani di Autori che vanno dal 1700 al 2000, 3500 pagine di roba buona. E poi.. è stato il mio più costoso investimento librario!
Qualche viaggiatore che fatica
Molti altri Italiani meriterebbero menzione, ma sto a quelli che ho conosciuto ed ai testi che ho letto.
Mi fermo dunque qui e passo ad un genere più “agile”: quello dei racconti dei viaggi escursionistici. Storie piu’ leggere, ironiche, spesso scritte con stile “giovanilista”. Sono libri che piaceranno certamente di più a chi è appassionato, come me, di escursionismo.
Una vera gemma è “Una passeggiata nei boschi” di Bill Bryson.
E’ un autore “tuttologo” che con tono scanzonato, ironia ed humor britannico ha scritto in campo divulgativo, geografico e appunto… di tutto.
Il libro citato è il diario di un distinto professore universitario, un pò avanti con gli anni, che per supposte ragioni esistenziali prepara e percorre l’Appalachian Trail, un percorso di 3500 non ricordo se miglia o chilometri nell’est degli States, dalla Georgia al Maine , accompagnato da un vecchio scardellato compagno di college.
A parte qualche descrizione naturalistica che ho trovato un pò lenta, il libro è veramente divertente.
Ne è stato tratto anche un film con Robert Redford e Nick Nolte, molto ben riuscito secondo me.
Tanto per non fare torto all’altro grande percorso americano, il PCT – Pacific Crest Trail, che percorre le Rocky Mountains dal Messico al Canada, “Wild” (stesso titolo anche nell’edizione in Italiano) è il racconto di Cheryl Strayed: tanto scanzonato è Bryson, così triste è la Nostra, che intraprende il cammino per dimenticare un passato di disgrazie, fallimenti e delusioni.
Si tratta di una grande occasione per evocare l’avventura e immaginare quei paesaggi del grande Ovest. Non è quello che diceva Addison poco fa? Anche da “Wild” è stato ricavato un film, con una fotografia impagabile per gli appassionati di montagna e natura.
Conclusione forzata, ma propositiva: il libraio
Si, perche’ penso di avervi già annoiato abbastanza, anche se, rileggendo quanto scritto, mi verrebbe da aggiungere un sacco di altra roba buona.
Aggiungete voi allora, cari lettori, e fateci sapere!
E poi fate una bella cosa: andate dal vostro libraio e ditegli: “Volevo fare un bel viaggio, ma c’e’ il Covid. Dammi un buon surrogato”
E lui dirà: “Volevi sognare?, Volevi imparare?, Volevi sudare? Volevi vedere?”
A seconda di come risponderete, se è un buon libraio, vi darà il libro che fa per voi.
Buon Viaggio!
Luigi Gerosa
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