Secondo dei tre contributi di Edi Natali dedicati a Vladimir Solov’ëv.
Per chi si fosse perso il primo, rimedi subito andando a leggere cliccando QUI.
(…) Già fin dai 20 anni Solov’ëv ha chiara consapevolezza di volersi dedicare a qualcosa di trascendente, per questo conduce una vita ascetica, distaccato dal denaro, condividendo il poco che aveva con i poveri.
Così si trova scritto nell’Introduzione della sua prima opera:
“Era quasi sempre senza denaro, ognuno poteva ricorrere a lui. Al primo venuto che veniva ad importunarlo con una richiesta, gli donava ciò che trovava nel suo portafoglio. Se era vuoto, gli lasciava il suo cappotto. Lo si vide talvolta spoglio dei suoi vestiti calorosi, ridotto, d’inverno, a chiedere in prestito una pelliccia a degli amici. Un giorno nella strada diede le scarpe a dei mendicanti”.
All’età di 22 anni Solov’ëv ottiene una libera docenza all’Università di Mosca, ma dopo appena sei mesi chiede di essere sospeso dall’insegnamento per recarsi a studiare filosofie orientali, correnti gnostiche e la Cabala giudeo-cristiana al British Museum di Londra.
E proprio a Londra accade un altro fatto importante: per la terza volta gli appare la bella signora che, questa volta, gli ordina di partire alla volta dell’Egitto.
Solov’ëv ubbidisce e parte e, una volta là, si avventura nel deserto alla ricerca di tribù che si diceva conservassero fonti segrete della Cabala; ma qui viene aggredito da dei beduini, che lo lasciano mezzo morto… quando si riprende, vede nuovamente la signora che lo conforta.
Questa sarà l’ultima apparizione, ma grazie allo studio della Cabala ora Solov’ëv sente di essere in grado di interpretare chi sia questa bella Signora: la Sapienza, la divina Sophia…
“Una delle figure che, dopo vista, non si dimenticano mai più: lineamenti belli e regolari in una faccia pallida e scarna, quasi nascosta sotto i capelli lunghi e inanellati; due occhi grandi, ammirabili, penetranti e mistici che campeggiavano in mezzo al volto: un pensiero appena rivestito d’un po’ di carne: uno di questi modelli a cui s’ispiravano i monaci, quando dipingevano il Cristo slavo che sulle vecchie icone ama, medita e soffre”.
Solov’ëv è considerato il primo ‘sofiologo russo’ dal momento che ha elaborato una dottrina della Sophia, che in seguito fu ripresa da molti scrittori russi quali Pavel Florenskij, S. Bulgakov e N. Berdjaev.
La dottrina di Solov’ëv, che sarà invece sottoposta a una dura critica da parte di V. Loskij e G. Florovskij, interpreta la Sophia da una parte come sostanza della Trinità, dall’altra come un’entità che unisce il divino all’umano; Sophia si trova al principio della creazione, essa è l’eterno femminino esistente in Dio.[1]
Nel 1881 il nostro filosofo inizia a studiare l’ebraismo, leggendo per tre anni la Bibbia e il Talmud in ebraico; sempre nello stesso anno, evento molto importante nella vita di Solov’ëv, avviene l’uccisione dello zar Alessandro II da parte di alcuni rivoluzionari; in quell’occasione, il Nostro fa due conferenze in cui, pur condannando il regicidio, chiede la grazia per i colpevoli, argomentando ciò col fatto che per un cristiano la pena capitale non è compatibile con il Vangelo e dunque non è accettabile.
Non solo la sua proposta non viene accolta ed i responsabili dell’assassinio vengono uccisi, ma le autorità governative censurano le sue opere, togliendogli ogni risorsa finanziaria.
Solov’ëv trascorre così gli ultimi anni della sua vita solo, povero e malato.
Muore a Pustynka nel luglio del 1900, nella casa dell’amico Alexej Tolstoj.
Muore pregando per gli ebrei.
[1] Tali osservazioni generali sulla Sophia sono state riprese dal paragrafo La Sophia in A. Mattiazzo, Quello che abbiamo di più caro, op. cit., 177-186.
(prossimamente verrà pubblicato l’ultimo contributo)
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