Quando Nietzsche scriveva “non ci sono fatti, ma solo interpretazioni”
(Frammenti postumi), non poteva probabilmente immaginare che questa sua affermazione sarebbe divenuta un “fatto” in grado di generare una quantità enorme di “interpretazioni” nel corso dei decenni successivi. L’interpretazione più radicale (“anti-realista”) sancisce, con una posizione ontologicamente paradossale, la non-esistenza della realtà o almeno della realtà come unico contesto di riferimento e di senso. Le interpretazioni più moderate ammettono invece l’esistenza di diversi tipi di fatti, più o meno innegabili, incontrovertibili o “duri”, seppur rimarcando come la stragrande maggioranza dei discorsi umani verta sulle interpretazioni dei fatti, non sulla mera esposizione o enunciazione di questi ultimi. Come dire: gli uomini avvertono il costante bisogno di interpretare la realtà, non semplicemente quello di constatarne i fatti.
non appena di constatarla.
Negli ultimi due secoli questo bisogno si è diffuso – democratizzandosi – divenendo libertà e diritto di opinione.
Per molti, in Occidente, l’affermazione di Nietzsche è stata il motore che ha animato forze e programmi di emancipazione: una liberazione che ha voluto difendere il pluralismo e la multiculturalità rispetto alla visione unica del pensiero dominante, alla sovrastruttura ideologica, ai costumi, alle costrizioni sociali o religiose. Per altri Nietzsche non è stato altro che uno dei cattivi maestri del relativismo contemporaneo (oltre che del nichilismo). Da un punto di vista filosofico la frase di Nietszche è stata anche convertita nel distico “i fatti sono [solo] interpretazioni; le interpretazioni sono [anch’esse dei] fatti”. In alcuni casi abbiamo assistito a migrazioni di intellettuali da una “sponda” all’altra – per così dire – di queste identità. Alcuni storici sostenitori dell’ermeneutica si sono ritrovati, col tempo, a difendere il realismo più spinto, ossia la pura e semplice indipendenza della realtà rispetto all’intelletto umano. Queste tendenze hanno spesso seguito la rinascita della metafisica che ha avuto luogo all’interno della filosofia analitica contemporanea, nel contesto anglo-americano. Quando la filosofia europea continentale aveva da poco celebrato la “fine della metafisica”, gli anglo-americani proponevano invece una “svolta ontologica” (ontological turn).
Negli ultimi tempi simili dibattiti – fuoriusciti definitivamente dal riferimento alle correnti filosofiche – si sono fatti social. In questa riedizione online troviamo però a confrontarsi ancora una volta i due poli posti “in tensione” da Nietzsche. Ecco allora che accanto allo storytelling, cioè all’esercizio della narrazione e dell’interpretazione, riemerge sempre più fortemente il bisogno del fact-checking, cioè l’attestazione di come stanno davvero i fatti (contro la pletora, sempre in agguato, delle fake news).
Nel tentativo di rispondere a simili dualismi Il Controfattuale ha intenzione di essere una rubrica di controfatti. Come dire: non ci sono (solo) le interpretazioni a dare senso, libertà e “respiro” alla realtà, ma c’è la possibilità (in alcuni casi la necessità) di raccontare tutta una serie di controfatti, che ravvivano criticità, voglia di verità e speranza. Riprendendo il modello controfattuale delle “modalità” (cioè delle definizioni di ‘possibile’, ‘impossibile’ e ‘necessario’) proposto, tra i primi, dal francescano medievale Duns Scoto: ‘possibile’ non è ciò che si realizza in un dato tempo (e non in un altro), ma ciò il cui controfattuale è altrettanto possibile (sempre in riferimento a uno stesso momento).
Buona avventura (per chi vorrà…)
Marco Lamanna
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