Questo secondo Ferragosto di epoca pandemica…
ci consegna una complessa visione di intrecci fra ragionevolezza, sentimenti, scienza, potere, sogni, ignoranza, cultura e molto altro ancora.
Molti discorsi si concentrano intorno alla questione del (presunto) obbligo vaccinale, che sarebbe stato di fatto introdotto dal (vero) obbligo di presentazione del cosiddetto «Green Pass» in molte occasioni socialmente a rischio per la contemporanea presenza di molte persone.
Il «Green Pass» non è un passaporto sanitario incontrovertibile.
Dopo una lunga e difficile contrattazione politica destinata a mettere in equilibrio interessi contrapposti (in primo luogo: economici e sanitari), il governo ha deciso di introdurre un lasciapassare che nella sostanza promuove la vaccinazione e comunque certifica che il titolare (in quanto già malato e guarito, vaccinato, oppure con l’esito di un tampone negativo) ha minori possibilità di contagiare o essere contagiato.
Non voglio entrare nel merito di questioni mediche e statistiche sull’efficacia dei vaccini e di questi altri rimedi proposti.
Sono temi che vanno maneggiati con competenze che mi mancano e non voglio accodarmi agli intellettuali che parlano di tutto, talvolta abusando della titolarità di cattedre universitarie.
in certe situazioni
ci si debba fidare
di chi sa il fatto suo.
Molti pensano che non fidarsi sia segno di intelligenza e acuta furbizia.
Io al contrario credo che dovremmo fidarci di più, e semmai pretendere una punizione esemplare per coloro che abusano della nostra fiducia.
Su queste basi sono convinto che di fronte alla pandemia gli scienziati abbiano fatto del loro meglio: cercato e sperimentato cure, prodotto vaccini il più possibile sicuri e affidabili, ben sapendo che la medicina non è una scienza esatta e che si tratta di minimizzare il rischio, giacché è impossibile annullarlo.
Del resto, ogni volta che esco di casa rischio di essere coinvolto in un incidente automobilistico, eppure esco.
E d’altra parte so anche che l’incidenza degli incidenti domestici è così alta, che anche stare a casa costituisce un rischio.
Insomma, ogni minuto facciamo scelte pericolose proprio perché il limite è connaturato all’esistenza stessa.
Per questo sappiamo che bisogna essere prudenti e previdenti, non solo per noi stessi, ma anche per gli altri.
E arrivo al punto.
I legami e le relazioni sociali non possono essere sostituiti da presenze virtuali, e questo impone a ciascuno di adempiere i propri doveri di solidarietà prima ancora di ragionare in termini di pretesa del rispetto dei propri diritti individuali.
La mia generazione al contrario è stata educata prevalentemente in questa seconda direzione.
Non ignoriamo certo la categoria dei doveri, ma la concepiamo come conseguenza della garanzia di esercizio dei nostri diritti.
Così, anche di fronte alla natura che si ribella obbligandoci a combattere un nemico insidioso come un virus, molti reagiscono anteponendo il proprio legittimo pensiero.
Il vaccino, che all’inizio sembrava un privilegio, è passato dall’essere un «diritto per i deboli» a un «dovere totalitario».
Chi è mai lo Stato per imporre regole?
Perché mai dovrei obbedire e farmi inoculare un liquido che non desidero ricevere?
Abbiamo sentito che non dobbiamo includere nella categoria antiscientifica dei «no vax» i «perplessi», che vanno invece convinti della bontà delle ragioni della scienza.
Come ho anticipato, non entro nel merito di queste distinzioni, anche perché so per esperienza che la scienza non produce verità assolute.
Ma questa certezza – ossia, l’assenza di verità assolute – non può sfociare nella pretesa di non adempiere ai doveri di solidarietà.
La tua paura – sentimento legittimo – non ti autorizza a farti i fatti tuoi.
Questi non sono solo fatti tuoi, ma fatti nostri.
E lo Stato – pure inefficiente – è ancora l’unico soggetto cui riconosciamo la legittimità dell’esercizio del potere democratico.
Aggiungo subito che sono fra coloro che non credono che l’obbedienza cieca sia una virtù assoluta.
Ma le disobbedienze cieche
mi spaventano di più.
E considero cieca la disobbedienza di chi antepone la sua opinione a quella degli scienziati (fra poco ci torno).
Di chi crede di saperne di più solo perché ha letto un post o visto un video su youtube.
Di chi considera il vaccino immorale (come alcuni vescovi cattolici e qualche ebreo ortodosso).
Di chi partecipa a reti social cospirazioniste e diffidenti.
Questi ciechi in fondo reclamano il rispetto del loro «io» avanti a tutto il resto.
Fra questi ciechi inserisco anche alcuni scienziati che, al contrario della maggioranza più ignorante, approfittano della loro scienza per propagandare le loro opinioni confutabili come realtà scientifiche.
Professori che dribblano la peer review e invece di pubblicare su Riviste scientifiche inseriscono video su youtube.
Che preferiscono insinuare dubbi sulla correttezza degli altri per propagandare come verità assoluta la loro esperienza personale.
Questi ciechi mancano di umiltà.
Anche costoro fanno prevalere l’«io» sul «noi», e alimentano la paura invitando a non rispettare i propri doveri.
Io non credo che il vaccino mi salvi certamente dal contagio.
Sono consapevole che potrei ammalarmi e, data l’età e la condizione personale, anche morire.
Però mi sono vaccinato, anche perché so che questo aiuta anche gli altri a non ammalarsi, e se si ammalassero, a non morire.
E anche i miei figli e le mie figlie, giovani e quindi meno a rischio di me, si sono vaccinati.
Abbiamo ancora paura, ma abbiamo fatto il nostro dovere.
Non siamo eroi, abbiamo solo pensato che nessuno si salva da solo.
E se alla fine si salveranno solo quelli che non si sono vaccinati, speriamo che siano in grado di trovare le ragioni per continuare a stare insieme.
Contro il virus dell’egoismo spaventato non c’è (ancora) vaccino.
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