In questa puntata de “Il Controfattuale” ospitiamo un contributo del Dr. Michele Rizzi.
Michele Rizzi è specialista neurochirurgo, medico strutturato presso il Centro per la chirurgia dell’epilessia “Claudio Munari” dell’Ospedale Niguarda di Milano. Si è formato presso i principali centri neurochirurgici milanesi e a Londra presso il National Hospital for Neurology and Neurosurgery. Ha all’attivo diverse pubblicazioni scientifiche nell’ambito del trattamento chirurgico dell’epilessia, e in generale nell’ambito della neurochirurgia funzionale.
Le discipline cliniche afferenti ai campi della neurologia, della neurofisiologia e della neurochirurgia hanno permesso negli ultimi 150 anni di determinare un ampio spettro di conoscenze sul funzionamento del cervello.
Il cervello umano si pone, nel contesto del sistema nervoso centrale, come la “gemma” che racchiude, con tratti tuttora assai misteriosi, gli aspetti più affascinanti ed intimi dell’essere umano (per una ricognizione su simili aspetti si rimanda a F. Savoldi, M. Ceroni et Alii, La coscienza. Contributi per specialisti e non specialisti tra neuroscienze, filosofia e neurologia, 2014).
Quando parliamo di funzioni cerebrali, infatti, non ci riferiamo “solamente” alle mirabili calibrazioni che permettono di pianificare ed eseguire complessi ed accurati movimenti, ma anche agli aspetti legati all’affettività, così come quelli cognitivi.
Nell’ambito delle funzioni cerebrali vi sono due tendenze interpretative, se vogliamo due estremi, relativi al “posizionamento” (secondo l’anatomia) di tale funzioni: quella localizzatoria e quella del meta-network. La concezione localizzatoria emerse circa due secoli fa mediante il lavoro di Franz Gall che, da “padre” della pseudoscienza frenologica, diede comunque un impulso ad un approccio naturalistico rispetto allo studio delle facoltà cerebrali (si veda il suo Frenologia, fisionomica e psicologia delle scienze individuali).
In un’epoca in cui dominava la concezione cartesiana del dualismo mente-corpo, Gall affermava che tali facoltà sarebbero state “segregate” in determinate aree cerebrali.
Il localizzazionismo ha così permesso la conoscenza di determinate funzioni neurologiche, per cui è prevista la “segregazione” in regioni cerebrali discrete o quantomeno in sistemi, che possono essere modulati da ulteriori sistemi ancillari.
Ad esempio, riferendosi alla funzione motoria, abbiamo un’area motoria primaria, da cui si origina l’attività neuronale determinante il movimento, nel contesto di un sistema principale, detto piramidale, che prevede la modulazione da parte di altri sistemi ancillari, quali l’extrapiramidale e il cerebellare.
Le conoscenze cliniche e quelle sperimentali, tra le quali vi è in atto un continuo dialogo, si sono comunque spinte ad affermare la compartecipazione di ulteriori networks nel contesto di una risposta motoria.
Pensiamo semplicemente all’apporto di un determinato “assetto” affettivo nei confronti di una prestazione motoria. Vediamo quindi come ci stiamo muovendo da una posizione per cui ad una tale area corrisponde una determinata funzione, ad una invece in cui più aree, organizzate in networks, “parlano” tra di loro.
Tali interazioni possono essere considerate come delle continue risposte integrate a problemi specifici, al fine di determinare costantemente successivi stati di equilibrio (omeostasi).
La concezione del meta-network estende queste osservazioni, fino a ipotizzare cambiamenti più lenti, ma più profondi, riguardanti sistemi molto diversi tra loro.
Tali considerazioni sono valide in particolare per le facoltà cerebrali più complesse, cioè quelle cognitive e comportamentali. Queste notevoli modificazioni, che occorrono nel corso della vita del soggetto, sono spiegate dai fenomeni di neuroplasticità, che qui viene considerata nella sua accezione positiva, di potenziamento delle funzioni e di espansione delle capacità. Bisogna sottolineare che questa capacità riorganizzativa è massima nei primi mesi/anni di vita e si riduce con il passare degli anni.
Un esempio clinico paradigmatico riguarda quei pazienti che soffrono di gravi forme di epilessia, resistenti al trattamento farmacologico, la cui origine risale ad un danno esteso a tutto un emisfero cerebrale (quantomeno alla sua porzione telencefalica). L’origine di tale disturbo è più tipicamente legata ai primi anni (o mesi) di vita, in seguito ad un danno che può essere di diversa origine.
Se tali pazienti vengono precocemente sottoposti ad un intervento neurochirurgico di disconnessione/resezione dell’intero emisfero, non solo potranno beneficiare della libertà dalle crisi epilettiche, ma potranno anche sviluppare le facoltà cerebrali con l’apporto di un solo emisfero.
Attraverso questo esempio viene così reso presente il concetto di plasticità cerebrale, alla base del recupero/trasferimento di funzioni, ed evidenziata la validità del meta-network, per cui lo sviluppo cerebrale accade anche lontano dalle supposte aree deputate a determinate funzioni.
Si aggiunge così il concetto di ridondanza del cervello, per cui estese aree cerebrali non sono strettamente necessarie, se disconnesse/rimosse o distrutte (da eventi traumatici, ad esempio), il tutto secondo determinate condizioni, essendo l’età del paziente tra i fattori più decisivi.
Se allarghiamo la visuale dall’ambito clinico a quello della quotidianità in un contesto di assenza di malattia, possiamo ammettere che emerge un legame tra la neuroplasticità e la categoria della possibilità.
Non è forse la neuroplasticità quel substrato del soggetto, inscritto nel nostro cervello, che offre la possibilità di un cambiamento, una riorganizzazione cerebrale con evidenti ricadute nella vita del soggetto?
Sia che sia alla base di un’acquisita capacità motoria, sia di un aspetto comportamentale?
Non è forse esperienza comune quella relativa ad incredibili cambiamenti cognitivi e comportamentali, di cui il soggetto può essere protagonista nel corso della vita?
Rimanendo sul versante positivo della neuroplasticità (quindi estensione e potenziamento delle facoltà cerebrali), tale concetto offre anche uno spunto di speranza (esagerando, uno dei suoi possibili correlati biologici), rispetto all’inesorabilità di ripetitivi accadimenti quotidiani (mi riferisco soprattutto a fatiche relazionali, quindi aspetti affettivi) che sfociano talvolta in diffuse condizioni depressive o comunque di “disincanto”.
Il meta-network si pone pertanto come un modello teorico che fornisce tutta una serie di “controfatti”, attraverso una realtà sperimentabile clinicamente, che da ultimo non va a “polverizzare” la concezione localizzatoria (che è stata effettivamente utile nel cammino della comprensione anatomo-funzionale del cervello, e che tuttora offre dettami utili), ma che la estende, stanandola – per così dire – da un mondo più segregato in moduli.
Il Meta-network getta luce sulla descrizione del cervello come di quell’organo che fa della potenzialità e della “possibilità” (anche quella “controfattuale”) le sue caratteristiche più affascinanti.
Dr. Michele Rizzi
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Per approfondire:
LA COSCIENZA. CONTRIBUTI PER SPECIALISTI E NON SPECIALISTI TRA NEUROSCIENZE, FILOSOFIA E NEUROLOGIA
di Savoldi – Ceroni et Alii
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