Per cominciare una corrispondenza da un paese «lontano»…
come continua a essere oggi la Russia – che pochi, in fondo, conoscono, a parte gli stereotipi «Cremlino, Putin, vodka, matrioška», un po’ come qui da noi in Russia pizza e mandolino continuano a rappresentare per molti il biglietto da visita dell’Italia – forse non sarà inutile cominciare dalla descrizione del luogo e della mission che da quasi ormai trent’anni sono diventati «casa mia».
Dico «casa mia», ma forse dovrei dire «casa nostra», perché il Centro culturale Biblioteca dello spirito, inventato trent’anni fa dall’amicizia tra padre Romano Scalfi, fondatore del Centro Russia Cristiana, e don Luigi Giussani, fondatore di Comunione e Liberazione, è prima di tutto una casa.
Una casa per noi che ci lavoriamo – un’italiana, un belga (cattolici) e una decina di russi, qualcuno ortodosso e altri agnostici; e poi per chi è nostro ospite – agli eventi culturali che prima del covid erano pressoché quotidiani (mostre di grafica, pittura, fotografia ecc., presentazioni di libri, tavole rotonde, cicli di lezioni, proiezioni di film), nella sala da thè e nella libreria che convivono nello spazio del Centro culturale come sua parte integrante, e sono aperti al pubblico ogni giorno dalle 11 alle 23.
Perchè “casa nostra”? Quando alcuni anni fa, nel 10° anniversario dell’apertura del Centro abbiamo chiesto ad amici e personaggi incontrati lungo il cammino un augurio e un giudizio sulla nostra attività, il ritornello ricorrente nei messaggi che ci sono arrivati era appunto: «da voi ci sentiamo a casa nostra», perché non ci chiedete niente, non cercate di tirare la coperta dalla vostra parte, di dare per riceverne un contraccambio.
Al contrario date tutto di voi e ci lasciate liberi di vagliare e capire le ragioni che vi portano a vivere così. Non è un caso che, in tutta la Russia, siamo il solo ente cattolico-ortodosso fin dalla fondazione, perché a costituire il Centro hanno partecipato – in anni in cui il dialogo ecumenico era parecchio in difficoltà – la Diocesi cattolica a Mosca e un’importante istituzione culturale ortodossa, grazie all’incontro e all’amicizia che era nata con alcuni che vi lavoravano. E che, nel nostro Centro, per ammissione degli stessi ortodossi si svolge la gran parte dell’attività culturale ortodossa moscovita – oltre, naturalmente, alle proposte «cattoliche» che facciamo. Lo stesso si potrebbe dire per i nostri colleghi: a Mosca non sarebbe difficile trovare un posto più remunerativo della nostra Biblioteca, con tutto il business internazionale che gira. Ma per alcuni di loro è diventata una vera e propria scelta di campo, un interesse e un impegno che li coinvolge al di là della necessità di guadagnarsi da vivere.
Un esempio vissuto
di ecumenismo e dialogo.
Come formuliamo i nostri programmi culturali?
Per promuovere e ospitare circa 280-300 eventi l’anno occorrerebbe avere una macchina organizzativa ben più attrezzata della nostra, a meno che… proposte, contenuti, protagonisti ci giungano da fuori, e che noi li accogliamo, li esaminiamo insieme, aiutiamo a svilupparli e vi partecipiamo.
Negli anni, sono sempre di più quelli che si rivolgono a noi per proporre temi ed eventi culturali, e noi ben volentieri assecondiamo queste proposte, che nascono generalmente dalle esigenze che maturano dall’interno della società. Così, a nostra volta possiamo ampliare la cerchia dei nostri interessi, ma soprattutto delle nostre amicizie, e proporre a un pubblico sempre nuovo e più vasto i temi che ci stanno a cuore.
In fondo, questo è un modo per dire che al cuore della cultura non c’è un’idea, ma un incontro, un’esperienza condivisa e condivisibile, su cui è bello, possibile e necessario dialogare anche tra persone che hanno concezioni di pensiero diverse: la diversità, infatti, è una ricchezza, ti obbliga a interrogarti anziché difenderti, a diventare più vero, e ti fa capire che c’è sempre da imparare – da tutti, in tutto – perché il nostro sguardo è fatto per l’infinito.
Arrivederci alla prossima lettera!
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