Ripartire. Da Pisa. Come noi qui del blogghe.
Coincidenza, a trentasette anni di distanza. Ripartire da Pisa trentasette anni fa, è stato un mantra, uno stato dell’anima, una convinzione. Per Paolo e Agostino ancor più. Avevano noi, il popolo, da portare sulle spalle.
Stava iniziando la primavera del 1983.
Ripartire arrivando in diecimila sotto la torre. Attraversando sicuramente quattro piazze, un viale, un corso, un ponte lì nel mezzo, i Bagni di Nerone, una porta e poi vie dedicate; a Carducci, alla Contessa Matilde, a Santo Stefano fino a via Rosmini, e all’ingresso ospiti in Curva Sud.
Ripartire da quelle strade, dalle sciocchezze fatte, dai vasi di fiori in coccio tiratici contro da un commando di anziane pisane, svelatesi con nomi quali Manilla e Astelia,con sospetto sangue livornese nelle vene.
Ricominciare da lì, pomeriggio di metà marzo.
Ricominciare in nome di quella ingovernabile succursale della felicità che avanza, ricominciare da noi tifosi innamorati 90 minuti a partita, 24 ore al giorno per il resto del tempo.
E lui decise di ricominciare per primo. Per la gioia che ognuno di noi poteva e doveva afferrare quando lui decideva di fare qualcosa. Come appunto ricominciare dalla doppia sberla juventina sofferta a Roma qualche giorno prima.
Ricominciare per Paolo significò far passare quei giorni di attesa trasmettendo quasi in silenzio tutto quello che i suoi compagni avevano gia’ ascoltato, avvertito, intuito.
Ricominciare fu far passare 13 minuti di partita a senso unico, il nostro, e poi apparire alle spalle di tutti, amici e nemici, sbucando dal mondo sconosciuto degli dei, un attimo prima di tutti, un metro più indietro di tutti, nascosto dentro il manto d’erba, e infine via, in volo, senza far rumore. Gol.
Ricominciò tutto sotto la curva pisana con un colpo di testa di genio di cuore e follia. Scappò via dal primo abbraccio di gente vestita come lui, inforcò la fascia destra del campo, con la mano sinistra alzo’ correndo la manica destra della sua maglia con il numero 5 e lanciò nel cielo pisano un pugno chiuso, pugno euforico, d’amore, con cui ci convinse che, alla fine, quel torneo di calcio lo avremmo vinto noi e nessun altro. Non so come ma ce ne accorgemmo tutti e diecimila e oltre, ovunque.
Serviva un gesto piccolo per dire “abbiamo ricominciato”, per tornare a nuotare piano in quel liquido amniotico caldo e familiare. Lui lo fece, poi ci fu la cornice in ginocchio di Agostino, e alla fine il 30 di maggio. Vincemmo noi.
Ora vogliono ricominciare, senza il tifo, a far guerreggiare squadre pensate per il pubblico, quello pulsante, da casa o allo stadio, ma pulsante.
Ora: se non fai come deciso il calcio muore. Se non fai come al campetto (solo le fidanzatine a bordo campo) il calcio muore. Se non paghi quegli emolumenti da urlo che hai garantito a ragazzini di 18 anni il calcio muore.
Se il calcio muore ha vinto il virus? Fermiamo tutto…e poi?
(solo le fidanzatine a bordo campo)
il calcio muore.
(...) Se il calcio muore ha vinto il virus?
Fermiamo tutto…e poi?
Ricominciare è possibile solo con un vaccino e con il senso civico e di amore per le nostre rispettive comunità.
Ma non ricominceranno da qui.
Gol in persiano vuol dire rosa.
Luca Del Re
Ndr: il pomeriggio del 13 marzo 1983 si giocò un Pisa-Roma, solo per alcuni una partita tra le tante del campionato italiano. L’allora giovane Luca Del Re era uno dei diecimila. Finì 2-1 per la squadra capitolina, tappa fondamentale per il percorso verso lo scudetto. C’è ancora a Pisa qualcuno che protesta per il rigore negato alla squadra di casa. Agostino è il compianto Agostino Di Bartolomei , Paolo è Paulo Roberto Falcao.
Una Roma, un modo di vivere il calcio da parte dei loro protagonisti che non c’e’ più, e a cui bisognerebbe tornare. Perché GOL! vuol dire…rosa.
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