…chissà cosa avrebbe detto del lockdown.
Pasolini è morto 45 anni fa.
Questa è la notizia: è morto. Se Pasolini fosse ancora vivo…, oggi avrebbe quasi 99 anni, e anche questa sarebbe una notizia.
Pasolini è morto la notte tra il 1° e il 2 novembre 1975. Causa della morte: lo scoppio del cuore, schiacciato dalle ruote della sua auto, guidata deliberatamente da ignoti sul suo corpo, al termine di un pestaggio durato molti minuti, in cui vennero colpiti testa, spalle, zigomi e testicoli.
Pasolini è morto da 45 anni, ma ci sono ancora capovolti necrofori pronti a brandirne un lembo di pelle, una frase strappata al contesto, uno sguardo sul presente. Perché Pasolini – si sa – è stato prima di tutto un profeta. Ha predetto quasi tutto, e quel che gli è sfuggito (per limiti non suoi, sia chiaro) è comunque passibile di un suo giudizio post mortem, o almeno di un pronunciamento, sia pur ipotetico: “… chissà cosa direbbe del lockdown”.
Così questo decifrabile Nostradamus, questa icona pop, questo santino (laico ma all’occorrenza ultracattolico, fascista prima che antifascista, sovranista e terzomondista) perdura oltre la morte. Scorticato, come nel piazzale dell’Idroscalo di Ostia, con la sua pelle appesa dove di volta in volta serve, perdura senza più lasciare segni, un qualunque Marsia che sembra aver definitivamente perso la sua gara con Apollo.
La colpa è anche sua. Ha dissipato la sua vena in mille attività diverse – cinema, scrittura, critica letteraria, giornalismo, teatro – e i suoi ultimi anni proiettano a ritroso su tutta la sua vita un’immagine distorta, fatta di oltranza, cialtroneria e disperazione mortuaria.
Eppure, di questo scrittore ridotto a meme di internet, a propugnatore del valore della sconfitta (e perciò evidentemente mai più letto da 45 anni), ancora resistono alle mode, all’usura di interessati becchini alcune opere, da pescare nel mare sterminato della sua produzione.
Le pagine critiche di Descrizioni di descrizioni e di Passione e ideologia, perché Pasolini è stato saltuariamente uno dei migliori critici letterari del ‘900. Le Poesie a Casarsa in dialetto friulano (l’esordio bruciante e assoluto nel 1942 di un ventenne bolognese sfollato a Casarsa della Delizia, paese natale della madre), e quelle formalmente originali delle Ceneri di Gramsci composte tra il 1951 e il 1957, strette tra la tradizione letteraria e l’urgenza della passione politica, perché Pasolini è stato prima di tutto un poeta. Alcuni racconti, come Mignotta (Relazione per un produttore), perché forse solo nella misura breve – recensioni, o sonetti, o cortometraggi come Che cosa sono le nuvole e La ricotta– Pasolini riusciva a contenere la propria vitalità espressiva, recuperando integra la sua “sola, puerile voce”.
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