Lo chiamerò Mario, ma il suo vero nome è altrettanto bello.
Mario è un mio studente con delle gravi problematiche, un bambino nel corpo di un adolescente.
Ovvio, ha il sostegno, e non mi stancherò mai di dire che un aiuto e un’umanità ai ragazzi come ho visto io nelle scuole in cui ho lavorato e in particolare in quella dove insegno ora – l’istituto Alberghiero di Viareggio – li ho visti in pochi luoghi.
Non do mai i miei riferimenti social ai miei studenti finché non escono definitivamente dal percorso scolastico, ma a Mario gliel’ho dato e questa estate ha cominciato a scrivermi.
Sempre la stessa domanda: ‘Quando ci vediamo?’.
in un luogo dove
ci si sente accolti
pienamente per come si è.
Chi non vorrebbe tornare in un luogo così?
Io davo sempre la stessa risposta, all’inizio con un po’ di sufficienza (si sa quando si ricomincia, a settembre, il 14) poi ogni giorno che passava, perché lui mi scriveva ogni giorno la domanda, ho acquistato consapevolezza di quello che mi stava chiedendo per davvero.
Non era la banale ripetizione di una richiesta come quella di un bambino, era il suo desiderio di essere di nuovo in un luogo che lo aveva accolto come pochi altri, con i suoi amici e i suoi professori; era l’espressione di un desiderio di tornare in un luogo dove ci si sente accolti pienamente per come si è. Chi non vorrebbe tornare in un luogo così?
Questa è la scuola che voglio. Se ci si sente accolti tutto è più semplice e si impara anche meglio.
Questo può e deve accadere durante le lezioni in presenza, come attraverso le piattaforme anti pandemia.
Alla mia materia Mario ha la media del 10.
Fabrizio Altieri
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