Ciao, mi chiamo Ciryl, ho 10 anni, sono haitiano e la cosa che amo fare di più è giocare a pallone.
Vivo con la mia famiglia non lontano da qui, sulla strada che costeggia il mare, in una casa tra Jacmel e Caye.
Ci abitiamo in sei, stiamo stretti ma non fa niente.
I miei allenatori hanno detto a tante persone che potrei fare una “bella carriera”. Così hanno detto, se potessi continuare a giocare a calcio.
Per adesso non se ne parla.
La mattina devo andare a scuola e di pomeriggio, dopo i compiti ho le mie quattro caprette da portare al pascolo.
Quattro capre sono sempre un bel patrimonio per un bambino della mia età.
Qualche volta giochiamo dove porto a pascolare gli animali ma i miei amici non sempre vogliono venire fin laggiù per giocare con me.
Poi ci sono i due pomeriggi liberi e allora gioco tutto il tempo con i miei compagni, e il momento più bello è la fine degli allenamenti e l’inizio della partita.
Abbiamo il campo di gioco, ogni tanto devi cacciare qualche mucca che si ferma a brucare il prato davanti alla porta, ma è grande e ha porte di ferro e le linee visibili anche se il custode chiede sempre i soldi per il gesso necessario a disegnarle di nuovo.
Non so come fa, ma prima di ogni partita importante i soldi li trova.
“Soldi” era ciò di cui sentii parlare il Signor Le Blanc** la prima volta che lo vidi qui al campo.
Le Blanc era il soprannome di Checco, il signore di origini italiane che la domenica parlava alla televisione durante le partite di calcio.
Un giorno è venuto a trovarci mentre facevamo l’allenamento.
Si mise a incitarci mentre giocavamo:
“passa a destra…guarda il tuo compagno laggiù,
…è libero, chiama la palla, chiama la palla…
copri, copri la fascia…
prendilo, prendilo…
l’anticipo, dov’è l’anticipo?”
Non parlava con tutti, solo con alcuni, e io ero tra questi.
Guardavo sempre con una certa ammirazione Le Blanc.
Sembrava un esperto di calcio e forse lo era.
parlava alla televisione
nazionale..
Un giorno vidi i miei allenatori particolarmente agitati.
Poco dopo al campo arrivò Checco Le Blanc, e tutti iniziarono a farsi gran sorrisi, a stringersi le mani e a darsi delle pacche sulle spalle come se stessero annunciando la nascita di un bambino.
Gli allenatori ci chiamarono al centro del campo e ci dissero che la nostra squadra, anzi le squadre, quella dei più piccoli e quella dei grandi in poco tempo avrebbero avuto un nome: Scuola calcio “Francesco Totti”.*
Jean è il mio miglior amico, lui gioca dietro, regista difensivo. Ha un lancio lungo che non sbaglia quasi mai.
Gioca con un calzettone nero al piede destro mentre il piede sinistro è scalzo.
Le Blanc si accorse subito di Jean, del suo lancio lungo quasi sempre perfetto.
Gli portò delle scarpe da calcio che nessuno di noi aveva mai visto.
Jean le indossò e dimenticò come si giocava a calcio. Sembrava goffo, impacciato, a disagio.
Ricordo che Le Blanc rise e disse: “..con voi non ho speranze, siete e resterete incorreggibili, ma vi prego, non cambiate, mai, mi annoierei.”
Non capii subito il senso di quelle parole ma poi vedendo Jean tornare a calciare come sapeva, davanti agli occhi contenti di Checco qualcosa mi fu chiaro.
di diventare dei campioni
solo rispettando
cosa siamo e come siamo.
Checco ce lo ripeteva in continuazione.
Fecero poi tante telefonate. In capitale ma anche in Italia.
Me lo ha raccontato Sonson: è il portiere della squadra, di lui ci si può fidare.
Sua madre vende tessere telefoniche e sa i movimenti telefonici di tutti i suoi clienti o quasi.
Le Blanc in quei giorni comprò tantissime tessere.
E un giorno il capo dei miei allenatori ci disse che la scuola calcio aveva i giorni contati.
Disse proprio così.
Disse che Le Blanc aveva firmato un contratto che era come una garanzia sull’impegno preso.
“Come quando compri del bestiame e per garantirti i capi migliori dai un anticipo”, mi spiegò Sonson.
Gli dissi che non mi piaceva immaginarmi come un vitello ma lui mi spiegò che Checco era come se avesse scommesso su di noi.
Non ci avrebbe venduto, come schiavi o animali, disse Sonson, ma fatto crescere calcisticamente, insieme agli allenatori, pregando per noi, sperando che qualcuno diventasse davvero un giocatore professionista.
E poi Le Blanc ci raccontava sempre di Emmanuel Sanon, il centravanti della nostra nazionale haitiana che in Germania nel 1974 segnò un gol all’Italia durante i campionati del mondo.
Diventò un eroe nazionale.
Lo chiamavano Manno, era cresciuto a Citè Soleil da cui si cercava presto di scappare.
Su in collina, a Petionville giocava in una squadretta dal nome italiano, la “Don Bosco”.
Due anni fa purtroppo Manno è morto. Povero come la maggior parte degli haitiani, anche quelli che sono stati eroi.
Un giorno al campo Le Blanc ci disse che sarebbe dovuto andare in capitale per il fine settimana e che quindi non avrebbe potuto assistere alla partita prevista per domenica. Era una partita importante per il nostro campionato.
Checco non poteva mancarla ma non ci fu nulla da fare. Restò con noi solo sino a metà dell’allenamento di venerdì.
Domenica pomeriggio, tornato a casa dalla partita fu mia madre a dirmi che Le Blanc aveva avuto un incidente a Port au Prince e che stava molto male.
“I medici – mi disse – faranno del loro meglio e ce lo rimanderanno a casa prima di quanto tu creda.”
Due giorni dopo mia madre mi disse che Le Blanc non ce l’aveva fatta, che riposava tra le braccia di Dio.
Io me lo immaginai in panchina appoggiato alla spalla di Maradona.
Dopo poco, anche io, smisi di giocare al pallone.
* L’Ecole de football “Francesco Totti” di Jacmel, Haiti, nacque nel 2008.
**Checco Le Blanc Fantoli, amico mio, fondatore dell’Ecole fu assassinato nel 2009
Nel 2010 vincemmo il campionato del Sud.
A marzo del 2011 decisi di lasciare quel che restava dell’Ecole, praticamente nulla, nelle mani di Mister Marucchi.
Da allora non volli sapere piu’ nulla.
Quel gruppo di ragazzini che avevamo cresciuto, nutrito, amato ed odiato era cresciuto d’età.
E a 13 anni molti di loro avevano gia’ iniziato a rubare e uccidere, per la sopravvivenza personale o di intere famiglie.
Due orfani cresciuti da Suor Anna nell’Istituto San Giovanni Bosco sono arrivati in Italia per giocare a pallone passando per la Florida. Uno fini’ a Udine l’altro a Lecce. Non giocarono mai in serie A: perchè non possono come ripeteva sempre Le Blanc.
E’ un problema di struttura fisica.
Hanno cosce troppo esili, mangiano male, necessitano di tutto, e sono pigri. Non esiste combinazione peggiore.
Ma ci abbiamo provato.
—
Volume consigliato:
CONTRO IL CALCIO MODERNO
di Pierluigi Spagnolo
Lascia una risposta