La sciatteria delle regole

La sciatteria delle regole

La sciatteria delle regole 1024 489 Pierluigi Consorti
La pandemia non si arresta. Siamo in piena «seconda ondata».

Quando un’onda ci travolge ci porta con sé. Avvertiamo una sensazione di impotenza, speriamo di poter emergere al più presto per prendere un po’ di fiato. Quando succede vorremmo poterci arrestare, e invece via; di nuovo dentro la corrente. Che fare? L’unica speranza è che prima o poi finisca. Desideriamo poter raggiungere la riva, magari stremati ma salvi. Non c’è altro da fare. Combattere contro la forza del mare può rivelarsi perfino dannoso: meglio farsi portare verso la riva dall’onda stessa.

Forse questa metafora può sembrare non del tutto appropriata, dato che per contrastare la forza della «seconda ondata» sono state adottate molte regole. Eppure, la sensazione prevalente è – se non negativa – almeno di perplessità…

Non potevamo fare di più,
e meglio,
quando il mare
era un po' più calmo?

Non potevamo organizzarci? Questa domanda interroga certamente chi ha responsabilità di governo, ma riguarda un po’ tutti noi.

Abbiamo fatto tutto quello che potevamo? Sembrerebbe di no.

Non voglio ergermi a giudice di nessuno. Penso davvero che la forza dell’onda esprima in modo visivo l’energia della natura che non può essere più di tanto governata. Una potenza imponderabile che manifesta l’esistenza di limiti. Non ci piace saperci limitati. Eppure, è così. Non possiamo tutto.

Tuttavia, qualcosa non quadra. A me pare che la consapevolezza dei limiti emersa sotto l’urto della prima ondata avrebbe potuto aiutarci ad assumere atteggiamenti più prudenti.

Non sono in grado di stilare un efficace cahier de doléances, perciò mi limito a segnalare la mancanza che mi sembra più pericolosa e che definirei “la sciatteria delle regole”.

La lettura dei tanti (troppi?) Dpcm – e delle correlate ordinanze regionali – presenta molti esempi di questa assenza di attenzione che possono essere ricondotti alla mancanza di certezza, che si presenta purtroppo come conseguenza diretta di una carenza di capacità di gestione dell’emergenza. Per capire cosa si può fare e cosa no bisogna affidarsi a una lettura attenta delle FAQ ministeriali, sperando che anche il vigile che ti ferma per strada abbia fatto altrettanto.

Le incertezze presenti già durante la prima ondata si sono persino amplificate, aggiungendo a regole incerte raccomandazioni prive di sanzioni. Il Capo del Governo – un avvenente adulto sempre ben vestito – ha cercato di destreggiarsi nei panni di un anziano saggio che cerca di stemperare ardori giovanili. Giacca, cravatta e mascherina sono stati il simbolo di una pacata reazione alla prevista «seconda ondata». Di fronte alla forza virale della natura che si preparava di nuovo a colpire, sono state contrapposte «misure» incerte e «ristori» precari, che nella sostanza ci saranno compagne durante il nostro trascinamento – sotto l’onda – verso la riva.

Per chi ci arriverà.

Capisco che chiedere di allestire potenti tavole da surf sulle quali cavalcare indenni l’onda sarebbe stata una pretesa eccessiva. Fornire qualche canotto era certo inadeguato, ma offrire una semplice mascherina – peraltro senza boccaglio –, un po’ di detergente e una debita distanza non può non suonare…

« … aspettiamo che passi,
e che Dio ce la mandi buona».

L’ultima divisione dell’Italia in diverse fasce di rischio colorate come un semaforo privo del verde non ha certo aiutato. Che la situazione fosse complicata era noto.

Per gridare «io, speriamo che me la cavo!» non servono fior di scienziati.

Fra colori, regole, deroghe ed eccezioni è prevalso un messaggio grottesco, che ha parlato di «rischio» mancando colpevolmente di comunicare il senso del pericolo. L’allarme è suonato rassicurante: come se l’adozione delle precauzioni sanitarie di base –  che ormai tutti conosciamo – scongiurasse il pericolo del contagio.

 

Abbiamo sentito parlare di «luoghi sicuri» (senza l’ausilio di dati: le scuole sarebbero sicure, le chiese sarebbero sicure, le università no, i musei no, …), mentre si sarebbe dovuto parlare di «comportamenti consapevoli». Indossare le mascherine, restare a debita distanza, evitare i luoghi chiusi e affollati non è sicuro: è solo prudente.

Tra restrizioni contestate, regole incerte e raccomandazioni generiche è passato un messaggio semplificato per cui «le cose che si possono fare, sono sicure; quelle vietate no. A meno che non troviate una giustificazione per farle lo stesso». E’ la quintessenza del «lock-down morbido», che scontenta tutti e induce a trovare il cavillo per restare aperto, uscire lo stesso, cercare un tampone che manca, provare a vaccinarsi senza vaccino, trovare libero il centralino del presidio medico, abbassare la mascherina.

Non bisogna essere negazionisti per capire che questo clima incerto non aiuta a far scoccare la scintilla che faccia sentire ciascuno responsabile degli altri.

Quando si è travolti dall’onda è normale che si cerchi di restare nella scia della corrente sperando di conquistare la riva, prima o poi. E’ impossibile guardarsi intorno o preoccuparsi degli altri.

In questa situazione corriamo il pericolo di ritrovarci come Caino: «Sono forse io custode di mio fratello?»

Ti è piaciuto l’articolo?

Ti suggeriamo questa lettura di approfondimento:

Pierluigi Consorti

Insegna all'Università di Pisa materie che riguardano i rapporti fra diritto e religione, Terzo settore e gestione dei conflitti...

Tutte le storie di:Pierluigi Consorti

Lascia una risposta