Il nuovo libro di Adriano Prosperi: intervista con l’Autore

Il nuovo libro di Adriano Prosperi: intervista con l’Autore

Il nuovo libro di Adriano Prosperi: intervista con l’Autore 1024 531 Massimo Trocchi

Adriano Prosperi *
Il lato sinistro
Mauvais Livres, 2020

Collana Sassifraga,

Tiratura limitata

carta Fedrigoni acquerello avorio

In uscita a Dicembre


 

Caro Professore,

è un piacere poter tornare a dialogare con Lei. Piacere arricchito dalla scoperta di una imminente Sua nuova pubblicazione, in uscita per i tipi della neonata casa editrice romana Mauvais Livres, meravigliosa quanto ardita avventura editoriale a cui ci siamo subito affezionati.

E’ già presente nei nostri scaffali, nonchè sulla scrivania casalinga di chi scrive, il primo volume di questi “libri birbanti”, anch’esso opera di un’importante storica pisana: Chiara Frugoni e il suo “Un presepio con molte sorprese – San Francesco e il Natale di Greccio”.

Quando abbiamo avuto notizia dall’editore che la seconda uscita sarebbe stato un Suo volume…siamo corsi da Lei…ed eccoci qui, grati per le anticipazioni che vorrà darci in merito a questa sua ennesima opera editoriale.

TROCCHI: Non possiamo che partire dal titolo, Professore: Il lato sinistro. Una raccolta di saggi, già precedentemente apparsi in riviste e studi monografici, impreziosita da tre inediti, di cui uno appositamente redatto per l’occasione.
Nella breve prefazione al volume Lei fa riferimento ad una duplice valenza significativa da doversi rintracciare nel titolo: un richiamo ad un importante scritto dell’antropologo, ebreo francese, Robert Hertz ed un più esplicito riferimento alle proprie personali convinzioni.
Ci aiuta ad entrare meglio “dentro” al titolo scelto?  Che cosa l’ha spinta ad una simile, evocativa, scelta?

PROSPERI: I due aspetti si incontrano nelle pagine su I vivi e i morti”, presentazione di un ricco numero monografico di Quaderni Storici (Rivista de Il Mulino, n. 50 – 1982 – ndr). Si volle reagire allora alla moda della tanatologia storiografica che accumulava sui tavoli degli studiosi molte opere di storici importanti, da Alberto Tenenti a Philippe Ariès a Pierre Chaunu e via elencando.

Vi si cercava di cogliere il mutare storico del pensiero della morte e del comportamento nei rituali delle esequie e nei testamenti ma soprattutto nella visione della vita. Era una indagine su di un sentimento ma finiva col tradursi in una filosofia della storia, dal disegno apologetico: era sotto accusa il presente della morte diventata “oscena”, nascosta, ultimo stadio rispetto all’epoca della morte confortata, in mezzo alla famiglia e a notaio e confessore.

Ero uscito solo con la fine delle scuole medie e del liceo da una esperienza del cattolicesimo che era stata intensa e maturata in un contesto speciale avevo accettato l’ impegno di costruire quel fascicolo non solo per dovere. Il tema mi attirava. 

Sono nato e cresciuto in una famiglia contadina, in una vecchia casa in cima a una collina tra il bosco e i campi,  priva di acqua corrente  e luce elettrica, ma ricca di bellezze e di presenze naturali – grilli, rane, lucciole, notti di luminosissime stelle – nell’esperienza di una economia fatta di prodotti coltivati nella nostra terra, col latte munto da una nostra amatissima mucca.

E’ un’esperienza che le generazioni successive non hanno avuto.

In quel contesto di anni di guerra e occupazione tedesca e di precarietà della vita minacciata ogni giorno da bombardamenti e da rastrellamenti, passai infanzia e prima adolescenza aderendo sentimentalmente alla religione, quella cattolica ovviamente ma filtrata dall’esperienza del mondo contadino, col suo rapporto diretto con la natura e con la sua radice materialista: in quel contesto  il contrasto fra il diavolo e il buon Dio era rappresentato da discussioni quotidiane fra i difensori e i negatori dell’esistenza di Dio, con connessioni con le scelte politico-sociali sotterranee ma vivissime sotto il fascismo e che maturarono dopo la liberazione.

Nel paese di artigiani (ciabattini soprattutto) dove feci le mie prime  esperienze scolastiche era fortissimo l’anticlericalismo e il fanatismo politico, che dal fascismo passò in toto al comunismo. Frequentare la chiesa era una scelta minoritaria, di opposizione. Tra un padre comunista già nella clandestinità ma saggio e tollerante e una madre molto mitemente credente in  una minoritaria religiosità prevalentemente femminile –  consolazione di donne contadine povere e private dei figli dalla guerra, speranza di una giustizia divina per i sofferenti ingiustizie – scelsi allora la parte materna. Negli anni di guerra e occupazione tedesca la vista dei morti di stragi e le paure quotidiane rendevano attuali le “Massime eterne” di Sant’Alfonso de’Liguori che mi sembra di vedere ancora nella tasca del grembiule di mia nonna.

E di religione si discuteva molto tra me e i miei parenti contadini, divisi tra i due rami della mia famiglia: da una parte, uno zio materno amante della lettura e profondamente religioso, dall’altra la numerosa parentela del lato maschile  politicamente  anarchica più che comunista, materialista e anticlericale

Con parenti e vicini  si discuteva molto sull’esistenza di Dio e sulla Chiesa. La scoperta della grande letteratura russa iniziò da una precoce lettura di “Delitto e castigo” e proseguì dopo le scuole medie diventando un’esperienza anche religiosa della mia adolescenza. Invece dalla pratica religiosa mi distaccai quando con le elezioni politiche del 1953 – quelle della “legge truffa” – mi trovai davanti al tentativo della gerarchia ecclesiastica di trasformare i membri dell’azione cattolica in  membri dei “comitati civici” democristiani.

Poi, una volta maturato all’università l’allontanamento dal mondo contadino e dalla religione, la lettura dei saggi di Robert Hertz mi  fece prendere coscienza  di quello che era stato  il mio rapporto con la morte e del fatto che era coi morti che avevo contratto un vincolo importante. Da allora tornai ancora un paio di volte su Hertz.

Ma intanto da lui avevo imparato che quello coi morti è un rapporto dei viventi che ne  fonda la memoria e ne  sorregge l’operare nel mondo. La morte è il “lato sinistro”  che, come spiegava  Hertz, è fondamentale nel trasformare la negatività della perdita  in una forza positiva : così come la doppia sepoltura era il passaggio  dal lutto profondo della fase immediatamente successiva alla perdita in un rapporto pacificato col morto entrato a far parte di un’altra classe d’età. 

L’opera grafica di Pablo Echaurren che correderà la copertina del libro “Il lato sinistro”

TROCCHI: Come già accennato il Volume raccoglie differenti saggi che documentano la Sua passione civile, con uno sguardo sempre attento e rivolto al presente, ed altri più propriamente di “natura “storica, incentrati su argomenti da Lei ampiamente indagati durante la sua feconda attività accademica. Un libro che, per il lettore improvvido che si accostasse per la prima volta ai suoi scritti, potrebbe fungere quasi da “veloce compendio” degli interessi e campi di indagine di..Adriano Prosperi.
Mi perdonerà, Professore, ma un “libro birbante” deve potersi attendere una “domanda birbante”: tra gli articoli e, per estensione, tra le vicende della storia religiosa moderna da Lei affrontate, si sentirebbe di dirci quale ambito l’ha più appassionato, e perchè?

PROSPERI: Io ho portato nella mia ricerca storica una domanda fondamentale: volevo capire le forme storiche assunte dalla religione nel suo tradursi in cultura, istituzione, potere. Potrei riassumere sinteticamente la risposta  evocando un autore e un testo che hanno avuto grande importanza per me: la leggenda del Grande Inquisitore di Dostoevskij. Che rapporto c’è stato tra il messaggio di Gesù  e la sua trasformazione in una istituzione e in un potere presente e dominante nel lungo periodo storico? Solo negli scritti giovanili di Carlo Levi su religione e contadini e poi in quelli di Ernesto De Martino ho trovato intuizioni e indicazioni di ricerca che mi hanno fatto intravedere qualcosa che oscuramente avevo vissuto e mi hanno permesso di fare i conti col razionalismo e il pensiero liberale di Croce. Ma questo rimase nel fondo confuso della mia ricerca.

Intanto mi inserii nel lavoro concreto di studio secondo le regole del mestiere, cercando di mettere a fuoco strumenti e questioni come mi si offrivano nella bottega artigiana dove mi era capitato di entrare. Partii dal campo storiografico della rivoluzione religiosa del ‘500, la Riforma, allora animato dalla discussione sui termini “Riforma cattolica” e “Controriforma”, aperta nell’immediato dopoguerra  dallo scritto dello storico cattolico  mons. Jedin e dalla ampia e positiva recensione dell’allora intellettuale comunista  Cantimori su “Società”.

La mia ricerca su Gian Matteo Giberti mi permise di capire come una diffusa sensibilità religiosa favorevole al ritorno al Vangelo  fosse condivisa anche da parte dell’alto clero negli anni del sacco di Roma, ma venisse travolta e sostituita dalla durezza dei processi e delle scomuniche per il prevalere della forza del potere  papale e delle esigenze di conservazione di fragili poteri statali. In seguito, fra i molti temi e figure storiche della religione ho approfondito specialmente quello  della saldatura fra la violenza delle esecuzioni capitali e la giustificazione che le dette la fede nella sopravvivenza dell’anima. Così  la diade dostoevskiana “Delitto e castigo” si tradusse per secoli nella trinità di delitto, castigo del corpo e perdono dell’anima.

Ho approfondito come ho potuto le funzioni storiche e l’uso sociale  dei sacramenti e la mediazione di corpi scelti del clero, come i gesuiti. La funzione della confessione fu decisiva nel mantenere e rafforzare il legame dei laici col clero e nel trasmettere la dottrina cattolica. In questo senso operò anche la predicazione popolare dei gesuiti. Ma anche la storia del battesimo e quella del Limbo mi hanno fatto entrare nella dimensione storica e sociale della teologia. Da lì la lettura di un documento d’archivio – il processo e la condanna di Lucia Cremonini nella Bologna del ‘700 – mi spinse a cercare di capire perché ammazzare in piazza una giovane donna per avere ucciso il figlio era stata una grande esperienza collettiva di tipo religioso: allora si discuteva di aborto e l’Italia andava rapidamente allontanandosi dal cattolicesimo della Controriforma, che vi si era radicato sconfiggendo riformatori ed eretici anche con la violenza ma più ancora con gli strumenti della conquista delle plebi contadine grazie all’impiego della  confessione   e delle missioni più che all’inquisizione e ai roghi.

TROCCHI: L’ultimo articolo del volume che, se non erro, appare per la prima volta in traduzione italiana, si intitola “Uno sguardo al percorso fatto”. Mi ha molto appassionato e fatto riflettere la sua lettura, e vorrei prendere spunto dal racconto del Suo percorso umano e intellettuale per sottoporle qualche osservazione a cui darà Lei un seguito: è ancora così importante in Università, per l’Università, il rapporto insegnante-allievo? senza voler scadere in facili argomentazioni retoriche: Servono ancora i maestri, in Università?
Cambiano le forme di insegnamento e si riducono gli spazi di socialità fisica (ben al di là delle evidenti contingenze e limitazioni che le circostanze attuali ci impongono di vivere). Ci si dirige, forse inconsapevolmente, sempre di più verso una Università come luogo dove “raccogliere apprendimenti”, prima ancora che ad una essenziale “palestra di vita”: almeno è questo quello che io noto dal mio privilegiato osservatorio di libreria frequentata da molti studenti universitari…. che ne pensa, Professore?

PROSPERI: Sono consapevole del mutamento che la durezza del presente ha portato nell’esperienza dei giovani e nell’università dove si incontravano.

E il futuro promette altri cambiamenti. Intanto c’è questa specie di terra di nessuno che si deve attraversare – una scomparsa delle biblioteche e degli archivi del tutto insensata, una didattica a distanza penosa e piena di difetti. Forse una storiografia che intanto fa indigestione di storia contemporanea e sconfina nel giornalismo può sostituire e cancellare una tradizione storiografica che ha difeso una visione severa dell’erudizione e dello statuto di verità , ha partecipato intensamente al dialogo internazionale e alla sperimentazione metodologica per esempio con proposte che hanno conquistato vasti consensi come la microstoria.

Ma nell’istituzione universitaria si è accentuato il divario nord-sud a causa della dominante mafiosità delle caste professorali del sud assorbite all’interno dei poteri e dei metodi di cosche dominanti ma  favorite a livello nazionale da una sciagurata riforma berlingueriana dell’università che ha portato all’arroccamento di prepotenti  capibastone nelle singole sedi – un fatto micidiale perché la ricerca si fonda sulla libertà intellettuale e non sul servilismo  cortigianesco dell’ “allievo” come unico erede.

Dopo il Covid-19 è facile prevedere una accelerazione dell’ascesa di università telematiche che è già in atto e il suo uso “à gogò”per mascherare deficienze e abbandonare del tutto il rapporto triangolare docente-libro-studente.

Bisognerà in primo luogo dimenticare l’insulsa retorica dell’”eccellenza” che si è rivelata utile a giustificare la mediocrità di sedi e di finanziamenti ,  ma anche la vacuità dell’egemone pedagogismo che nella scuola ha sostituito pannicelli tiepidi di buone intenzioni alla solidità del sapere, per non parlare di una spaccatura fra nord e sud  aggravata dalla crisi economica e sociale in atto che sarà durissima.

Bisognerà  ricostruire scuola e università tornando intanto alla norma costituzionale del concorso, eliminando la peste dei concorsi riservati.

Un aspetto positivo che ha attenuato la falcidia di laureati bloccati dall’assenza di sbocchi è stata l’apertura internazionale del mondo degli studi che ha permesso a tanti giovani di valore di non finire disoccupati a vendere pizze. Ma i dati del ritorno di fiamma dell’emigrazione che questa volta ha impoverito l’Italia di giovani di qualità suonano allarmanti per la già difficile collocazione del nostro paese nel contesto europeo. Da noi solo cambiando radicalmente la logica nefasta dei partiti e più ancora delle televisioni come uffici di collocamento si potrà dotare il paese di una burocrazia e di apparati amministrativi e dirigenziali capaci di funzionare rimettendo in vita il vincolo necessario  tra indirizzi di governo e funzionamento delle istituzioni, drammaticamente in crisi in questa fase.

 

* Adriano Prosperi ha insegnato alle Università di Bologna, della Calabria,

di Pisa e alla Scuola Normale.

 

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Massimo Trocchi

Approda a Pisa nel 1994 per gli studi universitari e si laurea in lettere classiche. Apprende per qualche anno il mestiere di libraio a Firenze, e nel 2004 torna a Pisa per rilevare la Libreria Pellegrini...

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